Podcast RSI – Velvet Sundown, oltre un milione di ascolti al mese per una band che non esiste
Questo è il testo della puntata del 14 luglio 2025 del podcast Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto. Il testo include anche i link alle fonti di questa puntata.
Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, YouTube Music, Spotify e feed RSS. Il mio archivio delle puntate è presso Attivissimo.me/disi.
[CLIP: inizio del brano “Dust on the Wind” dei Velvet Sundown]
Riconoscete questa canzone? È “Dust on the Wind” dei Velvet Sundown, una band composta dal cantante Gabe Farrow, dal chitarrista Lennie West, dal tastierista Milo Raines e dal percussionista Orion Del Mar. Questo brano ha oltre un milione e mezzo di ascolti su Spotify, dove la band ha un milione e trecentocinquantamila ascoltatori mensili, accumulati nel giro di poche settimane.
Ma come avrete probabilmente intuito dal fatto che me ne sto occupando in un podcast a tema informatico, i Velvet Sundown hanno una particolarità: non esistono, e la loro musica è generata usando appositi programmi di intelligenza artificiale. O perlomeno così sembra, perché non ci sono conferme assolute, ma soltanto forti indizi.
Questa è la storia di come un gruppo musicale sintetico è arrivato ad avere un successo di questo livello, di come si indaga per capire se una band è reale oppure no, e di cosa significa oggi il concetto stesso di “reale”.
Benvenuti alla puntata del 14 luglio 2025 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.
Prima di cominciare, segnalo che questa è l’unica puntata di luglio; la prossima uscirà l’11 agosto.
[SIGLA di apertura]
Alla fine di giugno 2025, su Reddit [qui e qui] è stato segnalato l’insolito successo dei Velvet Sundown, un gruppo musicale che ha iniziato a comparire nelle playlist Discover Weekly, quelle di brani consigliati settimanalmente da Spotify, nonostante avesse tutte le caratteristiche piuttosto evidenti di una finta band generata con l’aiuto dell’intelligenza artificiale.
[CLIP: inizio del brano “Drift Beyond the Flame” dei Velvet Sundown]
Quello che avete sentito adesso è l’inizio di un loro brano, intitolato “Drift Beyond the Flame”: come tanta musica generata, a un ascolto distratto pare orecchiabile e normale, ma se lo si ascolta attentamente, e soprattutto se si leggono le sue parole, ci si accorge che sono blande, banali, superficiali, una compilation di cliché che non ha un senso generale e che non c’entra nulla con il titolo. Cosa che, è vero, si potrebbe dire anche di molti brani scritti inequivocabilmente da artisti umani, ma è comunque un indizio notevole.
Dust on the wind
Boots on the ground
Smoke in the sky
No peace found
Rivers run red
The drums roll slow
Tell me brother, where do we go?
Raise your hand
Don’t look away
Sing out loud
Make them pay
March for peace
Not for pride
Let that flag turn with the tide
Guitars cry out
Bullets fly
Mama prays while young men die
Ashes fall on sacred land
We still got time to make a stand
Raise your hand
Don’t look away
Sing out loud
Make them pay
March for peace
Not for pride
Let that flag turn with the tide
Smoke will clear
Truth won’t bend
Let the song fight ‘till the end
Inoltre la foto del gruppo pubblicata su Spotify ha il tipico aspetto delle immagini sintetiche, e i membri non hanno nessuna presenza online, non hanno mai rilasciato interviste e non hanno un calendario di concerti pubblici.

Ma siamo nel 2025, e oggigiorno fare una foto di copertina che imiti l’aspetto delle immagini generate dall’intelligenza artificiale potrebbe anche essere una scelta stilistica. Inoltre il fatto di non avere account social non significa che una persona non esista, perlomeno per ora, e farsi intervistare ed esibirsi in pubblico non sono obblighi: lo fanno anche gli artisti musicali in carne e ossa. Per contro, Spotify assegna ai Velvet Sundown il bollino di “artista verificato”, e la musica di questa band è presente anche su altri servizi di streaming, come Apple Music, Amazon Music, YouTube e Deezer.

Una dettagliata indagine svolta dal sito Musically.com fa emergere altri elementi sospetti, come il fatto che la biografia del gruppo cita una loro recensione positiva che viene attribuita alla prestigiosa rivista musicale Billboard ma in realtà non risulta essere mai stata pubblicata, o il fatto che il servizio di streaming Deezer indica che entrambi gli album del gruppo “potrebbero essere stati creati usando l’intelligenza artificiale” secondo i suoi rilevatori automatici. Un articolo pubblicato su Mashable fa notare inoltre che manca qualunque indicazione di un produttore o di altre figure che solitamente partecipano alla creazione di un brano, e tutte le canzoni sono attribuite genericamente alla band, mentre di solito si indicano i nomi degli autori e dei titolari dei diritti dei singoli brani.
Queste indagini rivelano anche che la popolarità dei brani dei Velvet Sundown è dovuta ad alcune specifiche playlist presenti sulle piattaforme di streaming più popolari. Queste playlist sono costruite in modo anomalo: sono raccolte eterogenee di artisti di grande successo nelle quali sono inserite in abbondanza le canzoni di questa band sconosciuta, e hanno un numero molto modesto di follower ma centinaia di migliaia di account che le hanno salvate nelle proprie librerie.
Quasi tutti gli indizi, insomma, suggeriscono che si tratti di una costruzione sintetica accuratamente pianificata e organizzata.
Il caso dei Velvet Sundown è uno dei primi in cui una band dall’aspetto palesemente sintetico acquisisce una discreta popolarità e diventa virale senza ricorrere a espedienti classici come la parodia o l’imitazione delle voci, come era successo nel 2023 con quelle di Drake e The Weeknd [Disinformatico]. E non sarà sicuramente l’ultimo.
La vicenda di questa pseudo-band rivela un problema di fondo tipico di tanti aspetti dell’attuale periodo storico: si sta diluendo il concetto stesso di realtà. Le varie forme di intelligenza artificiale generativa permettono infatti di creare foto, musica, testi, interviste, video di persone – in questo caso artisti musicali – che non esistono. Ma per il pubblico che ne fruisce, per quel milione e mezzo di ascoltatori mensili dei Velvet Sundown, tutto questo è reale. O meglio, la musica che ascoltano esiste indubbiamente, e tutto il resto non conta.
Sì, perché abbiamo infatti progressivamente smaterializzato la musica, passando dall’esibizione obbligatoriamente dal vivo alla registrazione su disco, poi al CD che ha sostanzialmente eliminato la fisicità delle note interne o delle copertine, e poi siamo passati agli MP3 che hanno liquidato quel poco che restava dell’esperienza tattile di maneggiare un disco, e infine siamo arrivati allo streaming, per cui non possediamo neanche più i file delle canzoni che ci piacciono ma abbiamo una semplice lista, una playlist, che sta da qualche parte in un cloud intangibile di cui non siamo proprietari. Eliminare a questo punto anche gli artisti sostituendoli con generatori di musica sintetica, e vedere che la gente ascolta e gradisce questa sbobba sonora da tenere in sottofondo, sembra essere semplicemente un ulteriore passo, logico e inevitabile, in questa direzione.
Un passo, fra l’altro, incoraggiato dal fatto che fa comodo a molti, perché riduce i costi, aumenta i profitti e inoltre evita il problema dei comportamenti scandalosi e illegali che rovinano la reputazione degli artisti e frenano gli incassi delle case discografiche e soprattutto delle piattaforme di streaming.
Non sembra un caso il fatto che il CEO di Spotify, Daniel Ek, abbia dichiarato qualche tempo fa che non intende bandire dalla sua piattaforma la musica generata dalla IA [BBC]. Poco importa che gli artisti reali e le associazioni che si occupano di diritto d’autore facciano notare che questi generatori basati sull’intelligenza artificiale sono stati addestrati usando la loro musica senza pagare un centesimo di diritti [BBC]. C’è, fra loro, chi descrive questo addestramento con parole taglienti e senza compromessi: “furto travestito da concorrenza” [BBC].
Ma al tempo stesso si può obiettare che in realtà dietro ogni artista sintetico c’è eccome una persona reale: quella che genera la musica, ne sceglie i parametri, dà istruzioni a ChatGPT o Suno o Mubert o Google Veo su come creare i testi, le immagini e i video, concepisce la struttura, il look, lo stile e le caratteristiche della band immaginaria.
In altre parole, dietro i Velvet Sundown c’è in ogni caso qualcuno di reale, una o più persone che hanno avuto l’idea, l’hanno sviluppata ed eseguita, hanno lavorato per creare le playlist e hanno studiato i meccanismi e gli algoritmi delle piattaforme di streaming per ottenere il risultato di far diventare virale un gruppo musicale che non esiste.
Un atto creativo, insomma; una sorta di meta-arte, una forma di denuncia di una situazione pericolosa per gli artisti e per la cultura e un’incarnazione dell’ansia diffusa di perdere il controllo di tutto cedendolo alle intelligenze artificiali commerciali. Una denuncia, fra l’altro, mediaticamente efficace, visto che di questa vicenda stanno parlando le testate giornalistiche generaliste di buona parte del pianeta.
E in effetti dopo la prima ondata di clamore iniziale, quando la band si presentava come se fosse composta da persone reali, le informazioni presenti nella pagina Spotify dei Velvet Sundown sono cambiate, e ora parlano apertamente di “un progetto di musica sintetica guidato da una direzione creativa umana, composto, cantato e visualizzato con il supporto dell’intelligenza artificiale. Questo – dice sempre la pagina Spotify – non è un trucco: è uno specchio. Una provocazione artistica, concepita per saggiare i confini dell’essere autori, dell’identità e del futuro della musica stessa nell’era della IA.”
Complimenti, insomma, a chiunque si celi dietro questa provocazione: ha funzionato e ha sfruttato astutamente i punti deboli delle piattaforme di streaming. Ma forse arriva tardi, perché da anni c’è già chi li sta sfruttando non per fare arte o meta-arte, ma per fare cinicamente soldi. Tanti soldi. Per l’esattezza, dodici milioni di dollari.
Michael Smith è un musicista cinquantaduenne che vive nella Carolina del Nord. Intorno al 2018, quando l’intelligenza artificiale generativa era ancora un prodotto di nicchia, ha iniziato a generare insieme a un esperto del settore migliaia di brani sintetici ogni mese, piazzandoli sulle principali piattaforme di streaming.
Poi ha pagato delle agenzie per creare migliaia di account fasulli di utenti di queste piattaforme, automatizzandoli in modo che “ascoltassero”, si fa per dire, i suoi brani. Ascoltatori sintetici per musica sintetica, insomma.
In questo modo, le sue “canzoni” sono state “ascoltate” miliardi di volte da questi bot, e siccome le piattaforme di streaming pagano gli artisti qualche millesimo di dollaro ogni volta che una loro produzione viene ascoltata, nel corso di vari anni e fino al 2024 il signor Smith l’ha fatta franca, e ha incassato in totale circa dodici milioni di dollari, sottraendoli con l’inganno alle piattaforme e dividendoli con i suoi complici.
Sappiamo tutto questo perché a settembre 2024 il signor Smith è stato arrestato e incriminato per la sua attività, i cui complessi dettagli tecnici sono raccontati nell’atto d’accusa pubblico del processo che lo riguarda. Uno degli aspetti chiave di questi dettagli è l’uso dell’intelligenza artificiale: è quella che gli ha permesso di avere un numero immenso di brani sul quale spalmare gli ascolti fraudolenti, rendendo molto più difficile per gli operatori delle piattaforme accorgersi che si trattava di un inganno. Ma alla fine, dopo qualche anno, se ne sono accorti lo stesso, e la giustizia ha fatto il proprio corso. O meglio, lo sta ancora facendo, perché il processo non si è ancora concluso [Digital Music News].
Smith al momento rischia alcuni decenni di carcere. Chissà se parte dell’eventuale pena consisterà nel fargli ascoltare la sua stessa musica artificiale.
Nel frattempo, fra l’incudine delle piattaforme di streaming che non fanno controlli adeguati perché inseguono principalmente i profitti, e il martello degli artisti-provocatori e dei truffatori, restiamo noi, poveri utenti, che adesso grazie all’intelligenza artificiale non possiamo più goderci un po’ di musica senza chiederci ogni volta se quello che ascoltiamo sia vero o sia l’ennesima paccottiglia generata.