Vai al contenuto

Almanacco dello Spazio

Spazio, 55 anni fa il felice ritorno a terra dei tre astronauti di Apollo 13

Al Centro spaziale di Houston le lancette degli orologi dei numerosissimi tecnici che stanno seguendo la drammatica odissea nello spazio dei tre astronauti di Apollo 13 hanno superato da pochi secondi la mezzanotte. In Italia sono le sette del mattino. È l’inizio di un nuovo giorno, precisamente venerdì 17 aprile 1970, una data da ricordare, perché se tutto andrà bene rimarrà nella memoria come il giorno della felice conclusione del primo salvataggio spaziale della storia.

Dopo aver superato diverse difficoltà in seguito all’esplosione avvenuta all’interno del modulo di servizio nella notte italiana tra il 13 e il 14 aprile (fra cui l’uscita dalla rotta di ritorno verso la Terra e il problema dell’eccessivo tasso di anidride carbonica a bordo del “treno spaziale”), tra circa dodici ore, secondo il piano di volo stabilito dalla NASA, è previsto il rientro sulla Terra di James Lovell, Fred Haise e John Swigert. Ha inizio una lunga attesa, tra paura, preghiera e speranza.

A bordo dell’Apollo “ferito” fa terribilmente freddo. La stanchezza e lo stress nei tre uomini aggiungono brividi. Dal Centro di Controllo consigliano loro di vestirsi il più possibile per ripararsi dalle basse temperature e di assumere qualche pastiglia di dexedrina, uno psicofarmaco stimolante, necessario in questo caso ai tre eroi dello spazio per sentirsi un po’ più in forma in vista della delicata fase del rientro sulla Terra.

La prima pagina de “La Stampa” di venerdì 17 aprile 1970

A 138 ore dalla partenza dalla rampa di lancio di Cape Kennedy, Lovell, Haise e Swigert sganciano il Modulo di Servizio danneggiato, che hanno tenuto agganciato alla propria navicella affinché proteggesse lo scudo termico dagli sbalzi di temperatura dello spazio.

È solo a questo punto che i tre vedono, per la prima volta, la reale entità dei danni che il loro veicolo ha subìto: una fiancata è completamente squarciata e i componenti interni danneggiati sono totalmente esposti. Gli astronauti scattano frettolosamente alcune fotografie, a colori e in bianco e nero, per documentare i danni e consentire ai tecnici a terra di avere maggiori informazioni per tentare di capire cosa è successo esattamente.

Il modulo di servizio di Apollo 13 gravemente danneggiato dallo scoppio

Poco più di tre ore dopo gli astronauti di Apollo 13 si separano anche dal LEM “Aquarius”, trasformato in “scialuppa di salvataggio” dopo l’esplosione nel modulo di servizio: le sue risorse hanno permesso a Lovell, Haise e Swigert di avere energia elettrica e ossigeno sufficienti per il viaggio di ritorno e il suo unico motore principale, insieme ai più piccoli razzi di manovra (RCS), ha permesso di accorciare i tempi del rientro e di inserire il veicolo spaziale nella giusta traiettoria verso la Terra.

Il modulo lunare “Aquarius”, diventato “scialuppa di salvataggio” per i tre di Apollo 13 fotografato dopo il distacco dal modulo di comando “Odyssey”

Alle 18:54 ora italiana, le 11:54 del mattino a Houston, la navicella Apollo, ciò che rimane del gigantesco razzo Saturn V lanciato la sera dell’11 aprile, con nessun sasso lunare a bordo ma con un ben più prezioso carico, quello umano, si tuffa attraverso l’atmosfera.

Alle 19:01 italiane, dopo più di quattro interminabili minuti di silenzio radio, è la voce del comandante Lovell la prima a giungere nelle cuffie dei tecnici di turno della base spaziale texana e ad essere amplificata dalle radio e televisioni in tutto il mondo: “Come mi sentite Houston?”.

“Okay. Perfettamente Odyssey”, gli rispondono quasi gridando. È la conferma che gli astronauti stanno bene.

In tutto il pianeta, pronto ad accogliere nuovamente i tre esploratori cosmici, vi sono scene di pianto, di gioia, di emozione. Sul Pacifico, a sud delle Isole Samoa, il Sole è sorto da appena un’ora quando appaiono tra le nubi i tre grandi paracadute che sostengono il Modulo di Comando.

Alle 19:07 ora italiana, le 12:07 di Houston, la capsula si posa, con un perfetto “splashdown”, sulle acque agitate del Pacifico. Due elicotteri si alzano dalla portaerei di recupero e si dirigono verso la zona dell’ammaraggio. La portaerei Iwo Jima è a soli sette chilometri di distanza. Alcuni uomini-rana si tuffano dagli elicotteri, agganciano il grande collare di galleggiamento alla base di “Odyssey”, poi aprono il portello. Finalmente gli astronauti possono uscire, respirare aria pura, essere riscaldati dai raggi del Sole, respirare l’odore del mare. E’ la fine del dramma.

Sono trascorse 145 ore, 54 minuti e quarantuno secondi dall’inizio del quinto volo umano verso la Luna, un viaggio che avrebbe dovuto portare, per la terza volta in meno di un anno, due uomini a calpestare la superficie del satellite naturale della Terra e si è trasformato invece nell’operazione di salvataggio più spettacolare ed emozionante nella storia dell’umanità.

La bellissima immagine dei tre grandi paracadute spiegati che riportano sul loro pianeta natale i tre eroi di Apollo 13
I tre di Apollo 13 appena sbarcati a bordo della portaerei “Iwo Jima”. Da sinistra Fred Haise, James Lovell e Jack Swigert
La prima pagina de “La Stampa” di sabato 18 aprile 1970

Spazio, 55 anni fa: “Houston, abbiamo avuto un problema qui”

Sono trascorsi pochi minuti da quando le lancette dell’orologio hanno scoccato in Texas le nove di sera di lunedì 13 aprile; in Italia sono già le prime ore del mattino di martedì 14, precisamente le 04:08. Si è da poco concluso il quarto collegamento televisivo in diretta con l’equipaggio di Apollo 13. Gli inviati speciali della carta stampata di buona parte del pianeta, presenti nella sala adibita ai giornalisti al Centro spaziale di Houston, stanno già trascrivendo gli articoli da spedire nelle varie redazioni dei quotidiani sulle prossime importanti e delicate manovre che James Lovell, Fred Haise e “Jack” Swigert dovranno effettuare nelle prossime ore: l’ingresso in orbita lunare, la discesa del quinto e sesto americano sulla Luna a bordo del Modulo Lunare “Aquarius” e le due attività previste sulla superficie selenica.

All’improvviso la voce del pilota del Modulo di Comando “Odyssey”, Swigert, fa sobbalzare l’intera squadra dei tecnici che a turno, da sabato 11 aprile, sta seguendo e monitorando minuto per minuto il viaggio lunare:

“Okay, Houston, we’ve had a problem here” (“OK, Houston, abbiamo avuto un problema qui”). Questa è la frase esatta pronunciata, anche se molti la citano erroneamente come “Houston, we have a problem”, ossia “Houston, abbiamo un problema”.

Subito dopo la voce del comandante Lovell conferma: “Houston, we’ve had a problem” (“Houston, abbiamo avuto un problema”). “Le spie di allarme stanno lampeggiando, i manometri dell’ossigeno in due delle tre celle a combustibile segnano zero… perdiamo gas all’esterno… abbiamo sentito un forte botto… il veicolo sta beccheggiando fortemente”.

A Houston appare subito evidente che la situazione è estremamente critica: è il primo, drammatico S.O.S. nella storia dell’esplorazione umana nello spazio. La voce del comandante di Apollo 13 continua a giungere a terra calma ma fredda come una lama d’acciaio: “Houston, la pressione dell’ossigeno nella cabina di Odyssey sta diminuendo rapidamente”.

Per quanto imprevisto e imprevedibile sia il dramma scoppiato a 370.000 km dal nostro pianeta, i controllori a terra si attivano preparando subito un piano di emergenza. Houston comunica: “Trasferitevi all’interno del Modulo Lunare, potrete così continuare a respirare utilizzando le scorte di ossigeno del Lem e continuare nelle manovre di emergenza”.

Mentre Lovell e Haise prendono posto a bordo di “Aquarius”, Swigert rimane solo su “Odyssey” per eseguire tutte le operazioni necessarie che gli vengono suggerite dai tecnici a Houston: è necessario spegnere tutti i sistemi vitali del Modulo di Comando, per ridurre al minimo il consumo di energia e conservare l’esiguo margine di 15 minuti di erogazione elettrica rimasto, per quando i tre intrepidi eroi tenteranno il ritorno sulla Terra. Anche le comunicazioni radio Terra-spazio vengono ridotte al minimo per risparmiare energia. A bordo di “Odyssey” cala il buio e aumenta il freddo; da questo istante gli astronauti sopravvivranno solo grazie ai generatori del Modulo Lunare “Aquarius”, nato per diventare base per il quinto e sesto esploratore lunare sulla superficie di Fra Mauro, ma diventato ora “scialuppa di salvataggio” per i tre valorosi americani. 

A poco più di due ore dall’incidente, alle 11:24 della sera a Houston (le 06:24 del mattino in Italia), il Centro di controllo della base texana annuncia ufficialmente di avere annullato “l’operazione sbarco sulla Luna”. Ora quello che più conta è far ritornare a casa sani e salvi gli sfortunati protagonisti di quella che avrebbe dovuto essere la prima missione scientifica sul suolo del satellite naturale della Terra. 

La prima cosa da fare è riportare il complesso formato dal Modulo di Comando/Servizio e dal Modulo Lunare nella giusta traiettoria di “libero ritorno” che Apollo 13, nel suo viaggio translunare, aveva abbandonato già al secondo giorno di volo per consentire una manovra più precisa di discesa di “Aquarius” nella zona prevista di Fra Mauro. I tecnici a Houston, in completa alleanza con i calcolatori elettronici a loro disposizione, stabiliscono le modalità della delicata e drammatica operazione: la correzione di rotta può essere effettuata solo dal motore del modulo di discesa del Lem, dopodiché se l’operazione riuscirà Apollo 13 si riporterà automaticamente sulla giusta strada del ritorno verso la Terra. 

Fortunatamente la manovra riesce: il motore del modulo di discesa di “Aquarius” viene acceso per trentaquattro secondi, inserendo sulla giusta strada del “libero ritorno” il complesso spaziale e il suo prezioso carico umano. Sono le 02:43 ora di Houston, le 09:43 italiane.

Un’altra buona notizia è che grazie ai giroscopi elettronici l’equipaggio è riuscito a stabilizzare il rollio del complesso spaziale e secondo i calcoli fatti dai tecnici della NASA gli astronauti hanno riserve sufficienti a bordo per ritornare sulla Terra venerdì 17 aprile. A Houston si comincia a sperare. 

Sulla Terra, intanto, è ormai giorno in buona parte del mondo occidentale, la cui opinione pubblica è stata messa al corrente del dramma che si sta consumando a quasi quattrocentomila chilometri di distanza. Le varie edizioni straordinarie di TV, radio e giornali informano minuto per minuto che la terza missione umana destinata a scendere sulla Luna ha la seria possibilità di trasformarsi nel primo naufragio spaziale della storia.

Alcuni astronauti e controllori di volo nella sala controllo principale di Houston. Seduti, da sinistra: Raymond Teague (Guidance Officer), Edgar Michell (astronauta), Alan Shepard Jr. (astronauta). In piedi, da sinistra: Anthony England (astronauta), Joe Engle (astronauta), Gene Cernan (astronauta), Ronald Evans (astronauta) e M.P. Frank (controllore di volo). L’orario esatto della foto non è noto ma è successivo alla decisione di annullare l’allunaggio; l’equipaggio stava già tentando di tornare a terra (Foto S70-34986).
Le prime pagine de “Il Resto del Carlino” e “Il Corriere della Sera” di mercoledì 15 aprile 1970.

55 anni fa il lancio di Apollo 13 verso l’altopiano lunare di Fra Mauro

Le lancette dell’orologio in Italia segnano le 20:13 di sabato 11 aprile 1970. Sulla costa orientale degli Stati Uniti, e specificamente nello stato della Florida, sono le 14:13. Le televisioni di quasi tutto il pianeta sono collegate con il Centro spaziale Kennedy. In Italia, poco prima dell’inizio del telegionale serale delle 20:30, è in onda un’edizione straordinaria; in studio ci sono Tito Stagno e Piero Forcella. La voce dell’annunciatore della NASA Chuck Hollinshead ha appena finito di scandire gli ultimi secondi di un conto alla rovescia impeccabile, al contrario degli eventi umani che hanno preceduto questo momento (la rosolia di Mattingly e la sua sostituzione con Swigert), quando la rampa di lancio 39-A viene investita da una vampata immensa di fuoco e fiamme scaturite dai cinque potenti motori F-1 del primo stadio del gigantesco Saturn V.

Dapprima lentamente, poi via via sempre più veloce, il razzo più grande e più potente mai costruito dall’uomo fino a quel momento si distacca dal suolo terrestre, allungando sempre di più la sua corsa verso il cielo: è iniziato il viaggio di Apollo 13 verso la la Luna con a bordo l’equipaggio formato da James Lovell, Fred Haise e John Swigert.

Nelle fasi iniziali del volo, però, non tutto funziona alla perfezione: dopo il regolare distacco dell’S-IC, il primo stadio del Saturn, a due minuti e 44 secondi dal distacco dalla torre di lancio, e dopo l’accensione del secondo stadio S-II, il motore centrale di quest’ultimo cessa di funzionare due minuti prima del previsto. Da bordo della cabina dell’Apollo, lanciata ad altissima velocità verso la quota orbitale, si sente la voce del comandante Lovell: “Questo non sarebbe dovuto succedere”. Fortunatamente il “cervello elettronico” del Saturn comanda agli altri quattro motori di rimanere accesi 45 secondi in più.

Dopo nove minuti e 53 secondi anche il secondo stadio viene abbandonato, e l’accensione dell’unico motore del terzo stadio, l’S-IVB, permette la perfetta inserzione nella prevista orbita di parcheggio intorno alla Terra. Sono trascorsi 12 minuti e 39 secondi dal distacco dalla rampa di lancio. In Italia sono le 20:25. A Houston il grande orologio della sala di controllo segna le 14:25.

La prossima manovra del piano di volo è prevista a due ore e 41 minuti dal “liftoff”, quando verrà riacceso il potente motore del terzo stadio per immettere Apollo 13, con il suo prezioso carico umano, nella giusta traiettoria per l’altopiano lunare di Fra Mauro.

Per la terza volta, in meno di nove mesi, due astronauti americani, il quinto e il sesto nella storia dell’umanità, James Lovell e Fred Haise, si accingono a raggiungere il satellite naturale della Terra e a camminare sulla sua desolata superficie, per la prima vera esplorazione scientifica della Luna. Jack Swigert li attenderà in orbita.

Cape Kennedy. Mentre la terra trema a chilometri di distanza, il Saturn V si avvia a portare in orbita terrestre i tre di Apollo 13.
La prima pagina del “Corriere della Sera” di domenica 12 aprile 1970.
L’inizio del terzo sbarco lunare umano sulla prima pagina del quotidiano “La Stampa”.

Lanciata con successo la Soyuz MS-27 verso la Stazione Spaziale Internazionale

In perfetto orario questa mattina, 8 aprile 2025, alle 07:47 ora italiana, è stata lanciata dal Cosmodromo di Baikonur la Soyuz MS-27, con a bordo un equipaggio formato da tre astronauti. Obiettivo del volo, raggiunto felicemente tre ore dopo il distacco dalla rampa di lancio, l’aggancio alla Stazione spaziale Internazionale (ISS).

I tre uomini arrivati con la Soyuz, i russi Sergei Ryzhikov e Aleksei Zubritsky e l’americano Jonathan Kim, rimarranno sull’avamposto orbitale per circa otto mesi. Il ritorno a terra è previsto, se il programma di volo sarà rispettato, per il mese di dicembre di quest’anno.

Con l’arrivo dei tre nuovi “inquilini”, la ISS ha ora a bordo dieci persone: otto uomini e due donne.

Durante il lungo periodo che i nuovi arrivati trascorreranno in orbita, verranno condotti numerosi esperimenti e inoltre alcuni lavori di manutenzione interna ed esterna della Stazione spaziale, compresa una attività extraveicolare per il segmento statunitense, alla quale potrebbe partecipare lo stesso Jonathan Kim. Il lancio della Soyuz MS-27 è il 353° volo orbitale umano da quel primo storico compiuto il 12 aprile 1961 da Yuri Gagarin.

I tre astronauti che hanno raggiunto la ISS a bordo della Soyuz MS-27. A sinistra l’americano Jonathan Kim, al centro il comandante del volo Sergei Rizhikov, e a destra Aleksei Zubritsky.
La Soyuz con i suoi tre uomini in volo verso lo spazio per l’appuntamento orbitale con l’ISS.

55 anni fa il primo “abbiamo un problema” di Apollo 13

7 aprile 1970, martedì. Mentre il conto alla rovescia per il terzo sbarco umano sulla Luna procede spedito verso la conclusione prevista per l’11 aprile alle ore 20:13 italiane, al Centro spaziale Kennedy giunge come un fulmine a ciel sereno la notizia che durante una delle ultime visite mediche a cui sono sottoposti periodicamente i tre astronauti titolari di Apollo 13 (James Lovell, Fred Haise e Thomas Mattingly) e quelli di riserva (John Young, John Swigert e Charlie Duke), risulta che quest’ultimo, pilota di riserva del Modulo Lunare, ha contratto da uno dei suoi due figli la rosolia.

Mattingly, pilota del Modulo di Comando, dopo ulteriori ed accurati controlli medici, risulta essere l’unico dei sei che non è immune a questa malattia. Per non correre il grave rischio che si ammali durante la missione che porterà i tre uomini a quasi 400.000 chilometri di distanza dalla Terra, il medico della NASA, Charles Berry, chiede l’immediata sostituzione del pilota titolare con la sua riserva John “Jack” Swigert.

Nonostante il parere contrario del comandante del volo James Lovell, restio a modificare parte dell’equipaggio a pochi giorni dall’inizio del grande viaggio, il rischio che la missione possa subire un lungo rinvio convince il veterano dello spazio, che ha al proprio attivo tre voli spaziali, ad accettare la decisione dell’ente spaziale.

Swigert già il giorno successivo inizia una serie di prove tecniche intensive sul simulatore di bordo del Modulo di Comando per garantire un maggior affiatamento tra i membri dell’equipaggio e con i tecnici del Centro di controllo di Cape Kennedy e di Houston che monitoreranno la quinta spedizione umana verso la Luna.

L’equipaggio originale designato per la missione Apollo 13. A sinistra il comandante James Lovell, al centro il pilota del modulo di comando Thomas Mattingly (l’astronauta a rischio di sviluppare la rosolia mentre è nello spazio), e a destra Fred Haise, pilota del modulo lunare.
John “Jack” Swigert, l’astronauta di riserva chiamato a sostituire come pilota del modulo di comando Thomas Mattingly.

9 aprile 1970, giovedì. A due giorni dall’inizio del volo programmato verso la Luna di Apollo 13, c’è molta attesa nel mondo scientifico e nell’opinione pubblica per via della grande incertezza che regna dopo la notizia, resa ufficiale dalla NASA e apparsa sui giornali di tutto il mondo, del possibile contagio con la rosolia subìto da uno dei tre astronauti dell’equipaggio titolare, Thomas Mattingly, pilota del modulo di comando.

Da Stampa Sera del 9 aprile 1970.
Da La Stampa del 9 aprile 1970.

Le voci che circolano al di fuori del Centro spaziale Kennedy ipotizzano un probabile lungo rinvio della terza missione, la prima veramente scientifica rispetto alle due precedenti, che avrebbe visto come protagonisti oltre allo stesso Mattingly il veterano dello spazio James Lovell come comandante e Fred Haise, al suo primo volo, come pilota del modulo lunare.

Ma l’ente spaziale americano ha già preso la sua decisione: si parte comunque. Mattingly per precauzione resterà a terra e verrà sostituito dalla riserva John “Jack” Swigert, ugualmente ben preparata alle difficoltà del viaggio.

Il conto alla rovescia alla base spaziale di Cape Kennedy dunque non si ferma. Il “liftoff” di Apollo 13 verso la Luna con destinazione la zona di Fra’ Mauro, una regione ritenuta molto interessante dai selenologi, viene confermato per sabato 11 aprile, quando in Italia saranno le 20:13 italiane, le 14:13 in Florida.

Spettacolare ammaraggio nel Pacifico chiude la prima missione spaziale umana a sorvolare i poli

Venerdì scorso (4 aprile 2025) uno spettacolare ammaraggio nelle acque dell’Oceano Pacifico (non nuove a rientri sulla Terra di navicelle spaziali statunitensi, tra cui quelle indimenticabili delle missioni lunari Apollo) ha concluso la breve ma storica missione della Dragon “Resilience” con a bordo quattro astronauti non professionisti.

Chi ha assistito alle fasi finali del rientro in diretta televisiva sul canale ufficiale della NASA non ha saputo trattenere le emozioni, tanto era la chiarezza delle immagini trasmesse in 4K.

Subito dopo l’ammaraggio, avvenuto alle 18:19 ora italiana, i quattro astronauti, una volta issata la navicella sulla piattaforma di recupero, sono riusciti ad uscire autonomamente dalla Dragon, anche se con qualche comprensibile difficoltà ma sorridenti: anche questo era uno dei tanti esperimenti compresi nel breve volo durato tre giorni, 14 ore e 32 minuti.

Durante il volo a bordo della “Resilience” nella missione “Fram-2”, così denominata in onore della nave norvegese che effettuò i primi viaggi pionieristici nell’Artico e in Antartide tra il 1893 e il 1912, l’imprenditore cinese ma naturalizzato maltese Chun Wang, la regista norvegese Jannicke Mikkelsen, l’esploratore australiano Eric Philips e l’ingegnere tedesca Rabea Rogge, oltre ad aver sorvolato i poli dall’orbita terrestre (per primi nella storia dell’esplorazione spaziale umana), hanno compiuto più di venti esperimenti scientifici. I più importanti: la prima radiografia del corpo umano nello spazio, lo studio della regolazione del glucosio in microgravità e la possibile coltivazione dei funghi in un ambiente di microgravità.

Una immagine dalla Dragon “Resilience” durante un sorvolo di un polo terrestre.
Lo “splashdown” della Dragon nelle acque dell’Oceano Pacifico al termine di una missione di quasi quattro giorni in orbita polare.

Spazio, 50 anni fa il primo rientro d’emergenza di un equipaggio pochi minuti dopo il lancio

Domani, 5 aprile 2025, ricorre il cinquantesimo anniversario della prima missione spaziale con rientro d’emergenza durante le fasi del lancio.

Il disastro sfiorato accade durante l’inizio dell’ascesa verso gli strati alti dell’atmosfera della Soyuz 18 (successivamente ribattezzata Soyuz 18-A), a bordo della quale si trovano Vasili Lazarev e Oleg Makarov. Obiettivo della diciassettesima missione di una Soyuz con equipaggio è il raggiungimento e l’aggancio al laboratorio Salyut 4, che si trova in orbita dal 26 dicembre 1974 ed è già stato visitato dal precedente equipaggio della Soyuz 17.

Il lancio avviene la mattina del 5 aprile 1975 dal Cosmodromo di Baikonur, nel Kazakistan, allora facente parte all’Unione Sovietica (diventerà indipendente nel 1992 dopo lo scioglimento dell’URSS); Lazarev e Makarov sono alla loro seconda impresa spaziale, avendo già volato insieme durante la missione Soyuz 12 nel settembre del 1973.  

L’inizio del volo verso gli alti strati dell’atmosfera fila liscio come l’olio, ma al momento previsto per la separazione del secondo stadio, ormai esaurito, dal terzo, quattro minuti e 48 secondi dopo il decollo e ad una quota di 145 km, il distacco non avviene nella maniera corretta: il motore del terzo stadio, indispensabile per raggiungere l’orbita terrestre, si accende quando il secondo stadio è ancora agganciato ad esso.

Fortunatamente la spinta del motore del terzo stadio spezza gli agganci che ancora tengono uniti i due veicoli; a questo punto la forte sollecitazione fa deviare pericolosamente il complesso spaziale dalla prevista traiettoria di volo. A causa del guasto tecnico, e avendo rilevato l’anomalia, il sistema di guida automatico della Soyuz attiva il programma di “abort”: l’interruzione di emergenza durante una fase di lancio. È la prima volta nella storia della esplorazione spaziale umana che questo accade.

Al momento dell’avaria, la “torre di salvataggio” collocata all’estremità del razzo A-2 era già stata sganciata ed è quindi necessario attivare il motore principale della Soyuz, separando dapprima il veicolo dal terzo stadio e successivamente dal modulo orbitale e quello di servizio.

Avvenuto ciò, il ritorno verso la Terra della navicella è alquanto drammatico: essendo accelerata fortemente la sua discesa, i due cosmonauti subiscono una decelerazione di 21,3 g invece dei 15 g previsti per queste situazioni di emergenza. Fortunatamente, nonostante il sovraccarico di pressione alla quale viene sottoposta la Soyuz, a pochi chilometri dal suolo i paracadute si dispiegano perfettamente, frenando la navicella e garantendo il ritorno sulla Terra dei due cosmonauti dopo soli 21 minuti e 27 secondi di volo.

Tutto bene dunque per i cosmonauti; i due rientrano a terra sani e salvi, come rilanciano le principali fonti giornalistiche sovietiche nel dare notizia al paese e al mondo dell’avvenuto incidente. Ma a dispetto delle dichiarazioni ufficiali, come ricorda il sito Almanacco dello Spazio di Paolo Attivissimo alla data 5 aprile, i guai di Lazarev e Makarov non sono finiti: la capsula cade su un pendio innevato e rotola verso uno strapiombo alto 150 metri, finché i paracadute s’impigliano nella vegetazione e trattengono il veicolo spaziale.

L’equipaggio si trova immerso nella neve alta fino al petto e a -7 °C, per cui indossa l’abbigliamento termico d’emergenza. Inizialmente teme di essere finito in territorio cinese, in un momento in cui i rapporti fra Unione Sovietica e Cina sono molto ostili, e quindi si affretta a distruggere i documenti riguardanti un esperimento militare che si sarebbe dovuto svolgere durante la missione.

In realtà l’atterraggio è avvenuto in territorio sovietico, a sud-ovest di Gorno-Altaisk, circa 830 km a nord del confine con la Cina e a circa 1500 km dalla base di lancio, ma i cosmonauti non lo sanno fino a quando viene conseguito il contatto radio con un elicottero di soccorso, il cui equipaggio li informa sul luogo di atterraggio. Lazarev e Makarov sono in patria, ma la zona è talmente impervia che non vengono recuperati fino all’indomani.

Inizialmente le autorità sovietiche dichiarano che i cosmonauti non hanno subito lesioni, ma emergerà poi che Lazarev ha subito traumi a causa dell’elevatissima decelerazione. Makarov, invece, tornerà a volare con le Soyuz 26, 27 T-3.

La censura sovietica nasconde la serietà dell’incidente all’opinione pubblica nazionale fino al 1983: all’indomani del lancio i giornali russi si limitano a scrivere in seconda pagina, con un titolo piccolo e blandissimo (“Comunicato dal centro di controllo del volo”) che lo fa passare pressoché inosservato, che “durante il percorso del terzo stadio del razzo i parametri della traiettoria hanno deviato da quelli prestabiliti e un meccanismo automatico ha fatto interrompere il volo, distaccando la cabina spaziale in modo che scendesse a terra. L’atterraggio morbido è avvenuto a sud-ovest di Gorno-Altaisk (Siberia occidentale). I servizi di ricerca e soccorso hanno ricondotto al cosmodromo i due cosmonauti, che stanno bene”.

Gli Stati Uniti, invece, vengono avvisati sommariamente il 7 aprile, dopo il recupero dell’equipaggio, ma chiedono maggiori chiarimenti, perché sono in corso i preparativi per una storica missione spaziale congiunta fra russi e americani, l’Apollo-Soyuz Test Project, che dovrà decollare tre mesi dopo.


Nella storia dei voli spaziali umani dal 1961, a tutto il mese di marzo 2025, ci sono stati altri tre “abort”, interruzioni improvvise di un volo con equipaggio poco dopo il lancio. A quel primo della Soyuz 18-A si sono aggiunte altre due missioni sovietiche/russe: Soyuz T-10A (settembre 1983) e Soyuz MA-10 (ottobre 2018). Anche in questi casi i cosmonauti a bordo sono rientrati a terra sani e salvi. Ben più tragico l’unico “abort” di una missione della NASA, l’esplosione della navetta Shuttle “Challenger” dopo 73 secondi dal lancio, con la morte dei sette astronauti a bordo.

I due sfortunati cosmonauti della missione Soyuz 18-A Oleg Makarov (a sinistra nella foto) e Vasili Lazarev. (fonte: Spacefacts).
La notizia del fallimento del lancio della Soyuz a pag. 12 del quotidiano con uscita pomeridiana Stampa Sera, datato 7 aprile 1975 (dalla collezione personale di Gianluca Atti).
Il mancato raggiungimento in orbita della Soyuz di Makarov e Lazarev nell’edizione del mattino de “La Stampa” dell’8 aprile 1975 (dalla collezione personale di Gianluca Atti).

Lanciata la Dragon “Resilience”: primo volo spaziale con equipaggio per l’osservazione dei poli terrestri

Puntuale sulla tabella di marcia è partita dal Centro spaziale Kennedy questa notte, quando in Italia erano le 03:46 di martedì primo aprile 2025, la navicella spaziale Dragon “Resilience” con a bordo due uomini e due donne. Il distacco è avvenuto dalla storica rampa di lancio 39-A, la stessa che ha visto partire le missioni umane verso la Luna nel corso del programma Apollo negli anni sessanta e settanta del secolo scorso.

La partenza, come sempre quando si tratta di un lancio notturno, è stata spettacolare e per alcuni istanti il propellente che usciva dal primo stadio del Falcon IX ha illuminato a giorno il cielo buio della Florida. Nello stato orientale americano erano infatti le 21:46.

Il volo di ”Fram 2” è una novità storica per l’astronautica: nessuna missione umana nello spazio aveva fino ad ora sorvolato i poli terrestri. I quattro astronauti non professionisti a bordo di “Resilience” (Chun Wang, imprenditore e finanziatore della spedizione, la regista norvegese Jannicke Mikkelsen, la ricercatrice tedesca Rabea Rogge e l’australiano Eric Philips, esperto guida nelle esplorazioni polari), sono i primi a viaggiare in orbita intorno alla Terra con una inclinazione di 90 gradi, consentendo un sorvolo da un’altezza superiore ai 400 chilometri dei poli Nord e Sud del nostro pianeta.

Da ricordare che oltre alle osservazioni e allo studio delle due regioni polari verrà effettuata all’interno della Dragon una serie di esperimenti scientifici sugli effetti della microgravità sul corpo umano e verrà realizzata, per la prima volta, una radiografia su un essere umano nello spazio.

Il rientro a Terra della Dragon “Resilience” è previsto per la giornata di venerdì 4 aprile dopo cinque giorni di permanenza nello spazio.

1982/03/30: Rientro a terra della navetta spaziale Columbia (STS-3)

1982/03/30. Il terzo volo orbitale dello Space Shuttle Columbia (STS-3) si conclude sulla pista di atterraggio di White Sands in New Mexico, zona scelta per il rientro dopo i danni riportati alla pista di Edwards in California a causa di un violento nubifragio. In Italia le lancette dell’orologio segnano le 18:07.

Nel corso degli otto giorni di missione intorno alla Terra, i due astronauti Jack Lousma e Gordon Fullerton sperimentano il controllo termico della navetta nelle diverse configurazioni di volo e di esposizione al Sole e allo spazio. Inoltre, durante le 130 orbite compiute intorno al nostro pianeta, Lousma e Fullerton utilizzano vari strumenti per le osservazioni astronomiche e per la fisica dei plasmi spaziali.