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Podcast RSI – Criptovalute, utente derubato di 230 milioni di dollari

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Questo è il testo della puntata dell’11 novembre 2024 del podcast Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto. Il testo include anche i link alle fonti di questa puntata.

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[CLIP: Money dei Pink Floyd]

Un uomo di 21 anni, Jeandiel Serrano, fa la bella vita grazie alle criptovalute. Affitta una villa da 47.000 dollari al mese in California, viaggia in jet privato, indossa al polso un orologio da due milioni di dollari e va a spasso con una Lamborghini da un milione. Il suo socio ventenne, Malone Lam, spende centinaia di migliaia di dollari a sera nei night club di Los Angeles e fa incetta di auto sportive di lusso.

Ma c’è un piccolo problema in tutto questo scenario di agio e giovanile spensieratezza digitale: le criptovalute che lo finanziano sono rubate. Le hanno rubate loro, in quello che è probabilmente il più grande furto di criptovalute ai danni di una singola vittima: ben 230 milioni di dollari.

Questa è la storia di questo furto, di come è stato organizzato, e di come è finita per i due ladri digitali. Spoiler: il 18 settembre scorso hanno smesso entrambi di fare la bella vita, quindi non pensate che questa storia sia un consiglio di carriera. Anzi, è un ammonimento per gli aspiranti ladri ma soprattutto per i detentori di criptovalute, che sono sempre più nel mirino del crimine.

Benvenuti alla puntata dell’11 novembre 2024 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io, come consueto, sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]


Siamo ai primi di agosto del 2024. Una persona residente a Washington, D.C., vede comparire sul prpprio computer ripetuti avvisi di accesso non autorizzato al suo account Google. Il 18 agosto, due membri del supporto tecnico di sicurezza di Google e del servizio di custodia di criptovalute Gemini le telefonano e le chiedono informazioni a proposito di questi avvisi, informandola che dovranno chiudere il suo account se non è in grado di verificare alcuni dati.

Ma in realtà i presunti tecnici sono due criminali ventenni californiani, Jeandiel Serrano e Malone Lam, e gli avvisi sono stati generati dai complici dei due, usando dei software VPN per far sembrare che i tentativi di accesso provengano dall’estero. Questi complici guidano Serrano e Lam via Discord e Telegram, facendo in modo che i due manipolino la vittima quanto basta per farle rivelare informazioni che permettono a loro di accedere al Google Drive sul quale la vittima tiene le proprie informazioni finanziarie, che includono anche i dettagli delle criptovalute che possiede.

Proseguendo la loro manipolazione, Serrano e Lam riescono a convincere la vittima a scaricare sul proprio personal computer un programma che, dicono loro, dovrebbe proteggere queste criptovalute, ma in realtà è un software di accesso remoto che permette ai criminali di accedere in tempo reale allo schermo del computer della vittima. E così la vittima apre vari file, senza rendersi conto che i ladri stanno guardando da remoto tutto quello che compare sul suo monitor.

A un certo punto i due guidano la vittima fino a farle aprire e visualizzare sullo schermo i file contenenti le chiavi crittografiche private e segrete di ben 4100 bitcoin, che a quel momento equivalgono a una cifra da capogiro: oltre 230 milioni di dollari. Quelle chiavi così golose vengono quindi viste dai due criminali, grazie al programma di accesso remoto, e con le criptovalute chi conosce le chiavi private ne ha il controllo. Le può sfilare da un portafogli elettronico altrui e metterle nel proprio. E così, intanto che Serrano continua a manipolare la vittima, il suo socio Malone Lam usa queste chiavi private per prendere rapidamente possesso di tutti quei bitcoin.

Il furto, insomma, è messo a segno usando un metodo classico, che ha ben poco di tecnico e molto di psicologico: gli aggressori creano una situazione che mette artificialmente sotto pressione la vittima e poi offrono alla vittima quella che sembra essere una soluzione al suo problema. La vittima cade nella trappola perché lo stress le impedisce di pensare lucidamente.

Se state rabbrividendo all’idea che qualcuno tenga su un Google Drive l’equivalente di più di 230 milioni di dollari e si fidi di sconosciuti dando loro pieno accesso al computer sul quale tiene quei milioni, non siete i soli, ma lasciamo stare. È facile criticare a mente fredda; è meno facile essere razionali quando si è sotto pressione da parte di professionisti della truffa. Sì, perché Jeandiel Serrano non è nuovo a questo tipo di crimine. Due delle sue auto gli sono state regalate da Lam dopo che aveva messo a segno altre truffe come questa.

In ogni caso, a questo punto i due criminali hanno in mano la refurtiva virtuale, e devono affrontare il problema di riciclare quei bitcoin in modo da poterli spendere senza lasciare tracce. Serrano e Lam dividono il denaro rubato in cinque parti, una per ogni membro della loro banda, e usano degli exchange, ossia dei servizi di cambio di criptovalute, che non richiedono che il cliente si identifichi.

Ma è qui che commettono un errore fatale.


Jeandiel Serrano apre un conto online su uno di questi exchange e vi deposita circa 29 milioni di dollari, pensando che siano stati già ripuliti e resi non tracciabili. Ogni volta che si collega al proprio conto, l’uomo usa una VPN per nascondere la propria localizzazione e non rivelare da dove si sta collegando.

Ma Serrano non ha usato una VPN quando ha aperto il conto, e i registri dell’exchange documentano che il conto è stato creato da un indirizzo IPche corrisponde alla casa che Serrano affitta per 47.500 dollari al mese a Encino, in California. Questo dato viene acquisito dagli inquirenti e permette di identificare Jeandiel Serrano come coautore del colossale furto di criptovalute. L’uomo va in vacanza alle Maldive insieme alla propria ragazza, mentre il suo socio Malone Lam spende centinaia di migliaia di dollari nei locali di Los Angeles e colleziona Lamborghini, Ferrari e Porsche.

Il 18 settembre Serrano e la sua ragazza atterrano all’aeroporto di Los Angeles, di ritorno dalla vacanza, ma ad attenderlo ci sono gli agenti dell’FBI, che lo arrestano. La ragazza, interrogata, dice di non sapere assolutamente nulla delle attività criminali del suo ragazzo, e gli agenti le dicono che l’unico modo in cui potrebbe peggiorare la propria situazione sarebbe chiamare i complici di Serrano e avvisarli dell’arresto. Indovinate che cosa fa la ragazza subito dopo l’interrogatorio.

I complici di Serrano e Lam cancellano prontamente i propri account Telegram e tutte le prove a loro carico presenti nelle chat salvate. Serrano ammette agli inquirenti di avere sul proprio telefono circa 20 milioni di dollari in criptovalute sottratti alla vittima e si accorda per trasferirli all’FBI.

Malone Lam viene arrestato a Miami poco dopo, al termine di un volo in jet privato da Los Angeles. Gli agenti recuperano dalle due ville che stava affittando a Miami varie auto di lusso e orologi dal milione di dollari in su. Manca, fra gli oggetti recuperati, la Pagani Huayra da 3 milioni e 800 mila dollari comprata da Lam. E soprattutto mancano almeno cento dei 230 milioni rubati. Circa 70 milioni vengono invece recuperati o sono congelati in deposito su vari exchange.

Malone Lam e Jeandiel Serrano rischiano ora fino a 20 anni di carcere. Dei loro complici, invece, non si sa nulla, perlomeno secondo gli atti del Dipartimento di Giustizia dai quali ho tratto i dettagli e la cronologia di questa vicenda. Mentre Lam e Serrano si sono esposti di persona e hanno speso molto vistosamente milioni di dollari, lasciando una scia digitale spettacolarmente consistente, chi li ha assistiti è rimasto nell’ombra, usando i due ventenni come carne da cannone, pedine sacri ficabili e puntualmente sacrificate.

In altre parole, i due manipolatori sono stati manipolati.


Ci sono lezioni di sicurezza informatica per tutti in questa vicenda. Chi possiede criptovalute e le custodisce sui propri dispositivi, o addirittura le tiene in un servizio cloud generico come quello di Google invece di affidarle a specialisti, si sta comportando come chi tiene i soldi sotto o dentro il materasso invece di depositarli in banca: sta rinunciando a tutte le protezioni, anche giuridiche, offerti dagli istituti finanziari tradizionali e deve prepararsi a essere attaccato e a difendersi in prima persona, imparando a riconoscere le tecniche di persuasione usate dai criminali e imparando a usare metodi meno dilettanteschi per custodire le proprie ricchezze.

Chi invece assiste a vicende come questa e magari si fa tentare dall’apparente facilità di questo tipo di reato e si immagina una carriera da criptocriminale punteggiata da auto di lusso, ville e vacanze da sogno, deve tenere conto di due cose. La prima è che spesso questa carriera finisce male perché interviene la giustizia: questi due malviventi sono stati identificati e arrestati dagli inquirenti e ora rischiano pene carcerarie pesantissime. Per colpa di un banale errore operativo, la loro bella vita è finita molto in fretta.

La seconda cosa è che l’ingenuità della vittima che si fida di una persona al telefono è facile da rilevare, ma non è altrettanto facile rendersi conto che anche i due criminali sono stati ingenui. Erano convinti di aver fatto il colpo grosso, ma in realtà sono stati usati e poi scartati dai loro complici. Anche nell’epoca dei reati informatici hi-tech, insomma, dove non arriva la giustizia arriva la malavita, e pesce grosso mangia pesce piccolo.