
James Arthur Lovell, protagonista di quattro voli spaziali, due dei quali sono entrati nella storia per la loro straordinarietà di viaggi verso la Luna, è morto a 97 anni. La notizia è stata diffusa oggi.

Fece parte dell’equipaggio della missione più rischiosa della NASA negli anni della corsa alla Luna, Apollo 8, la prima circumnavigazione umana della Luna, nel 1968: insieme ai suoi compagni di viaggio Frank Borman e Bill Anders, fu il primo essere umano nella storia a superare l’abisso di quattrocentomila chilometri che ci separa dal nostro satellite naturale e a vedere la faccia nascosta del nostro satellite, sorvolandola su un veicolo il cui unico motore doveva funzionare perfettamente per permettere ai tre di tornare a casa. Non c’erano motori di riserva o scialuppe o soccorsi possibili. Mentre sorvolavano quella faccia nascosta erano completamente isolati dal resto dell’umanità, perché la Luna bloccava i segnali radio. Andò tutto bene e la missione fu un trionfo. La famosa foto della Terra che si staglia sull’orizzonte della Luna fu scattata durante questo volo.
Lovell tornò a volare verso la Luna nel 1970 per un’altra missione storica: Apollo 13. Quella che, come molti ricorderanno, ebbe “un problema” diventato proverbiale. Durante l’andata verso la Luna, uno scoppio di un serbatoio vitale trasformò un volo che prevedeva che Lovell camminasse sul suolo lunare insieme a Fred Haise in una vera e propria Odissea nello spazio: tre giorni al freddo e al buio su un veicolo che non sapevano quanto fosse stato danneggiato e a corto di ossigeno, di cibo e di acqua.
Quel veicolo spaziale ferito e menomato li riportò a casa grazie alla sua progettazione robusta e grazie ai nervi saldi e alla competenza tecnica straordinaria degli uomini a bordo (il terzo era Jack Swigert) e dei tecnici sulla Terra. Il film omonimo di Ron Howard, di cui quest’anno ricorre il trentennale, è una ricostruzione piuttosto fedele (con qualche licenza narrativa) di quel “disastro di grande successo”. Grazie a Gianluca Atti potete ripercorrere la cronaca reale di quel dramma sui giornali italiani dell’epoca:
- 55 anni fa il primo “abbiamo un problema” di Apollo 13
- 55 anni fa il lancio di Apollo 13 verso l’altopiano lunare di Fra Mauro
- Spazio, 55 anni fa: “Houston, abbiamo avuto un problema qui”
- Spazio, 55 anni fa il felice ritorno a terra dei tre astronauti di Apollo 13
Nel film che celebra la sua missione, Jim Lovell ebbe una piccola parte: lo si vede nelle scene finali, a bordo della portaerei, in divisa, mentre stringe la mano a Tom Hanks, l’attore che lo interpreta. Il regista, Ron Howard, offrì a Lovell una divisa da ammiraglio; l’astronauta rifiutò e tirò fuori la propria vecchia divisa da capitano. Aveva lasciato la Marina degli Stati Uniti con il grado di capitano, disse, e con quel grado voleva essere immortalato. Uno stile d’altri tempi.

Gli altri due voli spaziali erano stati forse meno storici ma comunque fondamentali: insieme a Borman, a bordo della Gemini 7 era rimasto in orbita intorno alla Terra per due settimane, in una cabina strettissima, per dimostrare che il corpo umano poteva funzionare nello spazio per il tempo necessario per arrivare fino alla Luna, soggiornarvi e tornare indietro. Poi era tornato a volare nello spazio con la missione Gemini 12, insieme a un certo Buzz Aldrin, al suo primo volo. Aldrin aveva effettuato ben tre “passeggiate spaziali” durante quella missione; insieme a Neil Armstrong, sarebbe stato il primo essere umano a camminare sulla Luna a luglio del 1969, con la missione Apollo 11.
Nel 1952 il giovane Jim Lovell, ventiquattrenne appena uscito dall’Accademia navale, aveva sposato Marilyn Gerlach, la ragazza che aveva conosciuto a scuola. La loro missione congiunta durò ben settant’anni, fino a quando Marilyn morì, nel 2023.
La foto che io e la Dama del Maniero abbiamo scattato con lui nel 2015 è qui accanto a me, sulla scrivania, a ricordo di un incontro indimenticabile con una persona straordinaria, che a ottantasette anni smanettava con il suo smartphone, mi parlava di Viber e sapeva tenere con il fiato sospeso una sala di cinquecento persone mentre raccontava per un’ora intera i suoi quattro voli spaziali, senza aver bisogno di PowerPoint ma usando solo i suoi appunti scritti su cartoncini e una lucidità invidiabile a qualunque età. L’avremmo ascoltato per ore.

Vorrei ricordarlo con queste sue parole, dette al pubblico in quell’occasione, che danno la misura dell’uomo straordinario che era:
“Mi sono chiesto spesso cosa sarebbe successo se Apollo 13 avesse avuto successo; se non ci fosse stata nessuna esplosione, fossimo atterrati sulla Luna, avessimo raccolto delle rocce, pronunciato frasi dimenticabili, e poi fossimo tornati sani e salvi. Sette missioni lunari completate con successo. La storia di Apollo 13 sarebbe stata sepolta nel bidone della spazzatura della storia dello spazio. Probabilmente non sarei qui a parlarne: la stessa cosa, fatta per la terza volta.
Per anni sono rimasto molto deluso di non aver potuto atterrare sulla Luna. Era la fine della mia carriera spaziale attiva e forse di quella navale. Era quello che avevo tanto desiderato fare. Ma poi, con il passare degli anni, abbiamo scritto un libro, intitolato inizialmente “Lost Moon” [Luna perduta] e poi “Apollo 13”, e mi sono detto che se fossimo atterrati sulla Luna e fossimo tornati, la lingua inglese non avrebbe il modo di dire “Houston, abbiamo un problema”. Non avrebbe “Il fallimento non è contemplato”. E mi sono detto che [quell’incidente] aveva tirato fuori quello che la gente sa fare quando c’è una crisi.
E quindi mi sono reso conto che la cosa migliore che poteva succedere nel nostro programma spaziale, in quel momento specifico, era avere un’esplosione come questa, che ha fatto emergere tante cose e ha consentito a gente di talento di trasformare una catastrofe quasi garantita in un atterraggio sicuro.”
Abbiamo tanto bisogno di altri Jim Lovell.