Al Centro spaziale di Houston le lancette degli orologi dei numerosissimi tecnici che stanno seguendo la drammatica odissea nello spazio dei tre astronauti di Apollo 13 hanno superato da pochi secondi la mezzanotte. In Italia sono le sette del mattino. È l’inizio di un nuovo giorno, precisamente venerdì 17 aprile 1970, una data da ricordare, perché se tutto andrà bene rimarrà nella memoria come il giorno della felice conclusione del primo salvataggio spaziale della storia.
Dopo aver superato diverse difficoltà in seguito all’esplosione avvenuta all’interno del modulo di servizio nella notte italiana tra il 13 e il 14 aprile (fra cui l’uscita dalla rotta di ritorno verso la Terra e il problema dell’eccessivo tasso di anidride carbonica a bordo del “treno spaziale”), tra circa dodici ore, secondo il piano di volo stabilito dalla NASA, è previsto il rientro sulla Terra di James Lovell, Fred Haise e John Swigert. Ha inizio una lunga attesa, tra paura, preghiera e speranza.
A bordo dell’Apollo “ferito” fa terribilmente freddo. La stanchezza e lo stress nei tre uomini aggiungono brividi. Dal Centro di Controllo consigliano loro di vestirsi il più possibile per ripararsi dalle basse temperature e di assumere qualche pastiglia di dexedrina, uno psicofarmaco stimolante, necessario in questo caso ai tre eroi dello spazio per sentirsi un po’ più in forma in vista della delicata fase del rientro sulla Terra.

A 138 ore dalla partenza dalla rampa di lancio di Cape Kennedy, Lovell, Haise e Swigert sganciano il Modulo di Servizio danneggiato, che hanno tenuto agganciato alla propria navicella affinché proteggesse lo scudo termico dagli sbalzi di temperatura dello spazio.
È solo a questo punto che i tre vedono, per la prima volta, la reale entità dei danni che il loro veicolo ha subìto: una fiancata è completamente squarciata e i componenti interni danneggiati sono totalmente esposti. Gli astronauti scattano frettolosamente alcune fotografie, a colori e in bianco e nero, per documentare i danni e consentire ai tecnici a terra di avere maggiori informazioni per tentare di capire cosa è successo esattamente.

Poco più di tre ore dopo gli astronauti di Apollo 13 si separano anche dal LEM “Aquarius”, trasformato in “scialuppa di salvataggio” dopo l’esplosione nel modulo di servizio: le sue risorse hanno permesso a Lovell, Haise e Swigert di avere energia elettrica e ossigeno sufficienti per il viaggio di ritorno e il suo unico motore principale, insieme ai più piccoli razzi di manovra (RCS), ha permesso di accorciare i tempi del rientro e di inserire il veicolo spaziale nella giusta traiettoria verso la Terra.

Alle 18:54 ora italiana, le 11:54 del mattino a Houston, la navicella Apollo, ciò che rimane del gigantesco razzo Saturn V lanciato la sera dell’11 aprile, con nessun sasso lunare a bordo ma con un ben più prezioso carico, quello umano, si tuffa attraverso l’atmosfera.
Alle 19:01 italiane, dopo più di quattro interminabili minuti di silenzio radio, è la voce del comandante Lovell la prima a giungere nelle cuffie dei tecnici di turno della base spaziale texana e ad essere amplificata dalle radio e televisioni in tutto il mondo: “Come mi sentite Houston?”.
“Okay. Perfettamente Odyssey”, gli rispondono quasi gridando. È la conferma che gli astronauti stanno bene.
In tutto il pianeta, pronto ad accogliere nuovamente i tre esploratori cosmici, vi sono scene di pianto, di gioia, di emozione. Sul Pacifico, a sud delle Isole Samoa, il Sole è sorto da appena un’ora quando appaiono tra le nubi i tre grandi paracadute che sostengono il Modulo di Comando.
Alle 19:07 ora italiana, le 12:07 di Houston, la capsula si posa, con un perfetto “splashdown”, sulle acque agitate del Pacifico. Due elicotteri si alzano dalla portaerei di recupero e si dirigono verso la zona dell’ammaraggio. La portaerei Iwo Jima è a soli sette chilometri di distanza. Alcuni uomini-rana si tuffano dagli elicotteri, agganciano il grande collare di galleggiamento alla base di “Odyssey”, poi aprono il portello. Finalmente gli astronauti possono uscire, respirare aria pura, essere riscaldati dai raggi del Sole, respirare l’odore del mare. E’ la fine del dramma.
Sono trascorse 145 ore, 54 minuti e quarantuno secondi dall’inizio del quinto volo umano verso la Luna, un viaggio che avrebbe dovuto portare, per la terza volta in meno di un anno, due uomini a calpestare la superficie del satellite naturale della Terra e si è trasformato invece nell’operazione di salvataggio più spettacolare ed emozionante nella storia dell’umanità.


