Questo è il testo della puntata del 10 marzo 2025 del podcast Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto. Il testo include anche i link alle fonti di questa puntata.
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[CLIP: brano dall’inizio di Flow (2024)]
Un gatto vaga in un mondo nel quale gli esseri umani sembrano svaniti nel nulla ma i cani, eterni persecutori di felini, ci sono ancora, e al micio tocca trovare nuovi rifugi, insoliti compagni di viaggio e nuove strategie per cercare di sopravvivere. È l’inizio di Flow – Un mondo da salvare, l’opera che ha vinto l’Oscar come migliore film d’animazione di quest’anno dopo aver conquistato anche il Golden Globe.
Il film ha molti meriti e molte caratteristiche insolite: un regista lettone, la totale assenza di dialoghi perché la storia è raccontata dalle immagini, e il fatto di aver battuto la concorrenza di colossi dal portafogli ben fornito come Disney, Pixar e Netflix.
Ma Flow ha anche una particolarità molto informatica: è stato realizzato usando il software Blender, che è libero e gratuito eppure riesce a generare animazioni ed effetti paragonabili a quelli dei costosi software commerciali che si usano normalmente per produrre i film di animazione digitale.
Questa è la storia di Blender, di come è possibile che un software che non costa nulla competa e vinca contro applicazioni sostenute e sviluppate dalle più importanti aziende del settore e sia giunto al traguardo dell’Oscar grazie al talento di un gruppo di persone creative, ed è anche la storia di cosa significa tutto questo per chiunque sogni di trasformare le proprie idee in immagini sullo schermo ma si trova paralizzato o intrappolato da costi di licenza insostenibili. Ed è anche la storia di un inaspettato legame di questo nome,Blender,con la Svizzera.
Benvenuti alla puntata del 10 marzo 2025 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.
[SIGLA di apertura]
È il 1994. Uno studio di animazione olandese, NeoGeo, che oggi non esiste più, sviluppa un software di grafica e animazione digitale per uso interno. I suoi creatori lo chiamano Blender, frullatore, come tributo all’omonimo brano della band svizzera Yello che l’azienda usa nel suo video dimostrativo.
Il software viene poi rilasciato pubblicamente come freeware, ossia come software gratuito liberamente scaricabile e utilizzabile senza pagare nulla, e successivamente come shareware, vale a dire come software che si può scaricare gratis in prova limitata e poi si paga per averne una versione completa.
Blender però non fa grandi progressi, e langue fino al 2002, quando Tom Roosendaal, principale autore del software, crea nei Paesi Bassi la fondazione senza scopo di lucro chiamata Blender Foundation e avvia con successo una campagna di raccolta fondi per rendere Blender libero e open source: in altre parole, gratuito, liberamente ispezionabile e modificabile da chiunque, a patto che le modifiche siano a loro volta distribuite gratuitamente e altrettanto ispezionabili.
Nasce così una comunità internazionale di sviluppatori appassionati che lo fanno crescere, sotto il coordinamento dei membri della Blender Foundation, e lo fanno diventare quello che è oggi: uno strumento potentissimo di grafica digitale accessibile a chiunque a costo zero, che include modellazione, animazione, rendering, compositing ed è disponibile in versioni per Windows, MacOS e Linux presso Blender.org.
Ogni uno o due anni, inoltre, la Blender Foundation gestisce la produzione di un cortometraggio di animazione che serve per stimolare l’innovazione e dimostrare pubblicamente le potenzialità di Blender. Questi brevi video (come per esempio Big Buck Bunny, Sintel, Tears of Steel) hanno un discreto successo di critica e di pubblico e vengono indicati come esempi di modi alternativi, collettivi e aperti, di creare arte e cinema d’animazione: chiunque sia competente può partecipare alla loro realizzazione e tutte le risorse e i modelli creati vengono messi a disposizione di chiunque per essere riutilizzati. L’esatto contrario del cinema tradizionale, dove tutti i diritti sono riservatissimi e usare un costume o un oggetto di scena senza permessi e contratti appositi è assolutamente vietato.
Dai primi anni Duemila Blender non è più uno strumento per appassionati e autori indipendenti ma comincia a essere usato nella preproduzione e negli effetti visivi di film e telefilm commerciali, anche con budget molto consistenti [Spider-Man 2; Captain America: The Winter Soldier; The Man in the High Castle], e viene usato anche dalla NASA per le animazioni che illustrano le sue missioni spaziali. Ma tutto questo è poco visibile al grande pubblico ed è quasi trascurabile rispetto all’impatto mediatico di vincere, come adesso, un premio Oscar con Flow.
Ovviamente Flow non è stato creato da Blender; questo software è solo uno strumento a supporto della creatività umana, e in questo caso il creativo si chiama Gints Zilbalodis ed è un regista e animatore lettone, che ha già realizzato da solo vari cortometraggi digitali e un intero lungometraggio, intitolato Away [trailer], usando il software commerciale Maya di Autodesk, ma nel 2019 decide di abbandonare questo prodotto per passare appunto a Blender, perché questo software libero e gratuito ha delle caratteristiche superiori, che gli servono per i suoi progetti successivi.
È in quell’anno che Zilbalodis inizia lo sviluppo di quello che diventerà poi Flow. Numerose scene prevedono ambientazioni acquatiche, per cui serve un software capace di generare simulazioni realistiche di fluidi e di vari fenomeni fisici, di fare modellazione, di fare il cosiddetto rigging (cioè la creazione delle articolazioni virtuali dei personaggi), l’animazione vera e propria, l’unione di tutti gli elementi della scena e anche il rendering in tempo reale, vale a dire la visualizzazione immediata del risultato finale, senza dover attendere tempi di elaborazione (per fare un paragone, ai tempi del primo Toy Story, nel 1995, alcuni fotogrammi richiedevano trenta ore di calcoli ciascuno, e ne servono 24 per ogni secondo di un film). Blender consente di fare tutto questo all’interno di un singolo programma, e questo rende più efficiente, rapido e coerente il flusso di lavoro.
Anche così, per concepire gli 80 minuti di animazione di Flow servono in tutto cinque anni e mezzo, perché i calcoli oggi si fanno velocemente, ma la creatività e la ricerca di fondi per finanziare un progetto di film d’animazione richiedono tempo come e forse anche più di prima. La produzione vera e propria delle 22 sequenze che compongono Flow richiede in totale sei mesi alla squadra di venti animatori sparsi fra Parigi, Marsiglia e Bruxelles. Il resto del tempo viene speso in preparativi, organizzazione, scrittura, sviluppo dei personaggi e della trama, e ovviamente promozione e trattative per trovare sostegno economico e canali di distribuzione.
Vincere un Oscar come miglior film d’animazione è un grande riconoscimento al talento creativo del regista Gints Zilbalodis, ma è anche un segnale importantissimo per l’intera comunità dei progetti informatici basati sui principi dell’open source di libertà, collaborazione aperta e trasparenza. Comunica in modo forte che questo modo di creare software è capace di competere alla pari con la maniera commerciale di sviluppare applicazioni.
Soprattutto, l’Oscar conquistato conferma che “la creatività, il talento e la visione contano più dell’investimento economico riversato in costosi strumenti a codice sorgente chiuso”, come scrive It’s Foss News, aggiungendo che “il successo di Flow ispirerà molti creatori che non hanno accesso a carissimi software di creazione 3D per sviluppare le proprie idee.”
La questione dell’accesso a questi software è fondamentale per chiunque voglia incamminarsi lungo un percorso per diventare autore di animazioni, per i giovani talenti che vorrebbero emergere. Un costo di licenza che è sostenibile per un’azienda avviata non lo è per una persona che vuole imparare e farsi le ossa con l’animazione digitale. Duemila euro l’anno, come nel caso del software Maya, sono una cifra importante per chi studia o fa animazione per passione. Possono rendere impossibile un sogno o un desiderio di carriera.
E c’è il problema aggiuntivo che se si crea qualcosa con un software che ha un costo di licenza ricorrente, quella creazione diventa dipendente da quel software e quindi per lavorarci, per aggiornarla o modificarla in qualunque modo, bisogna continuare a pagare, pagare, pagare, come sa bene chiunque abbia creato progetti con i popolarissimi software di Adobe Creative Cloud, come Photoshop o Premiere, giusto per fare un esempio molto conosciuto.


Per non parlare della dipendenza che nasce dal tempo investito per imparare a usare quel software, o della dipendenza da aziende che risiedono in paesi soggetti a ghiribizzi politici surreali come quelli attuali che stanno sconvolgendo anche l’informatica e il mondo del cinema, con censure e autocensure che rievocano e fanno riscoprire il maccartismo di settant‘anni fa.
Il potenziale dirompente del software libero e gratuito è stato sottolineato proprio da Gints Zilbalodis in un’intervista subito dopo aver ricevuto l’Oscar: “Blender è un software libero, gratuito e a codice sorgente aperto” dice il regista “e questo vuol dire che è accessibile a tutti, e quindi oggi qualunque persona giovane ha a disposizione strumenti che vengono usati per realizzare film che ora hanno anche vinto un Oscar. Quindi credo che vedremo creare film emozionanti di ogni genere da parte di giovani che altrimenti non avrebbero mai avuto l’occasione di farlo. Blender è un grande strumento, non è in alcun modo un compromesso: ha la stessa qualità di tutti gli altri prodotti in circolazione, e lo useremo anche per il mio prossimo film.”
Blender è scaricabile liberamente presso Blender.org. Se vi interessa, datevi da fare.
Fonti aggiuntive
Ton Roosendaal Reveals the Origin of Blender’s name, BlenderNation, 2021
Open Source Fueled The Oscar-Winning ‘Flow’, It’s FOSS News, 2025