Vai al contenuto

Podcast RSI – Le domande intime degli altri fatte a Meta AI si possono leggere online

Visualizzazioni: 540

Questo è il testo della puntata del 16 giugno 2025 del podcast Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto. Il testo include anche i link alle fonti di questa puntata.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, YouTube Music, Spotify e feed RSS. Il mio archivio delle puntate è presso Attivissimo.me/disi.


[CLIP: voce sintetica legge il testo di una domanda: “quale crema o unguento si può usare per lenire una grave reazione con lesioni allo scroto causate dal rasoio usato per depilarsi?”]

Se siete fra gli utenti delle app di Meta, come Facebook, Instagram o WhatsApp, fate attenzione alle domande che rivolgete a Meta AI, l’assistente basato sull’intelligenza artificiale integrato da qualche tempo in queste app e simboleggiato dall’onnipresente cerchietto blu. Moltissimi utenti, infatti, non si rendono conto che le richieste fatte a Meta AI non sempre sono private. Anzi, può capitare che vengano addirittura pubblicate online e rese leggibili a chiunque. Come quella che avete appena sentito.

E sta capitando a molti. Tanta gente sta usando quest’intelligenza artificiale di Meta per chiedere cose estremamente personali e le sta affidando indirizzi, situazioni mediche, atti legali e altro ancora, senza rendersi conto che sta pubblicando tutto quanto, con conseguenze disastrose per la privacy e la protezione dei dati personali: non solo i propri, ma anche quelli degli altri.

Questa è la storia di Meta AI, di come mai i dati personali degli utenti finiscono per essere pubblicati da quest’app e di come evitare che tutto questo accada.

Benvenuti alla puntata del 16 giugno 2025 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]


Meta AI è un servizio online basato sull’intelligenza artificiale che è stato presentato pochi mesi fa ed è accessibile tramite un’app omonima e tramite Facebook, Instagram e WhatsApp: è rappresentato da quel cerchietto blu che è comparso, non invitato, in tutte queste app. È simile a ChatGPT, nel senso che gli utenti possono fargli domande scritte o a voce e ottenerne risposte altrettanto scritte o vocali, possono mandargli immagini per farle analizzare, e possono chiedergli anche di creare immagini in base a una descrizione.

Meta AI, però, ha una differenza importantissima rispetto a ChatGPT, Google Gemini e gli altri prodotti analoghi: ha un’opzione che permette che le domande che gli vengono rivolte possano essere pubblicate online, dove chiunque può leggerle. E a giudicare dalle cose che si possono vedere nel flusso pubblico di queste domande e risposte, è evidente che moltissimi utenti non sono affatto consapevoli di questa differenza e stanno rendendo pubbliche richieste molto private e spesso spettacolarmente imbarazzanti.

Nell’app e nel sito di Meta AI (https://www.meta.ai/#feed) c’è infatti una sezione, chiamata formalmente Discover, dove chiunque può sfogliare le domande poste dagli utenti a questa intelligenza artificiale e vedere chi le ha fatte: ogni domanda è infatti associata all’account di chi l’ha inviata.

Esplorando il contenuto di questa sezione si trova davvero di tutto: richieste di generare immagini di donne che si baciano mentre lottano nel fango in bikini, o di produrre le soluzioni a un compito o a un esame, per esempio, ma anche richieste di fare diagnosi mediche, accompagnate da descrizioni dettagliate dei sintomi, oppure di comporre una lettera di risposta a uno studio legale, con tanto di nomi, cognomi e indirizzi delle persone coinvolte.

Screenshot mio (link).

Molte testate giornalistiche [CNBC; BBC; Fastcompany; Wired; Business Insider] e vari esperti di sicurezza informatica e privacy digitale, come per esempio Rachel Tobac, hanno catalogato e documentato davvero di tutto: dettagli di casi clinici e procedimenti legali, richieste di pareri riguardanti evasioni fiscali, informazioni sui reati personalmente commessi, domande appunto su come rimediare a irritazioni prodotte dalla rasatura delle parti intime o come affrontare una transizione di genere, richieste di aiuto su come trovare donne (cito) “con un sedere grosso e un bel davanzale”, e altro ancora, sotto forma di richieste scritte o vocali, leggibili o ascoltabili da chiunque e condivisibili con il mondo, perché ciascuna richiesta ha un link pubblico.

Uno dei casi più incredibili è la richiesta pubblica a Meta AI di “creare una lettera che implori il giudice (identificato dal cognome) di non condannarmi a morte per l’omicidio di due persone”.

E tutto questo, ripeto, è associato ai nomi degli account dei richiedenti, che molto spesso sono i loro nomi e cognomi anagrafici, per cui risalire alle loro identità è facilissimo.

Se avete già usato Meta AI e adesso siete nel panico perché state ripensando alle cose potenzialmente imbarazzanti o private che avete chiesto a questo servizio, aspettate un momento. Ci sono alcuni dettagli importanti da conoscere.


Prima di tutto, il problema di questo torrente di domande rivolte dagli utenti a Meta AI e rese pubbliche riguarda soltanto i paesi nei quali Meta AI è pienamente attivo. In gran parte dell’Europa, per esempio, il flusso pubblico di domande non è accessibile, grazie alle norme sulla protezione dei dati personali che servono proprio a impedire disastri come questo.

Per consultarlo, o per finire inavvertitamente per farne parte, è necessario risiedere in uno dei numerosi paesi, come gli Stati Uniti, nei quali Meta AI opera senza restrizioni, e occorre avere un account Meta legato a quel paese. Per esempio, per poter vedere con i miei occhi questo impressionante flusso di domande pubblicate ho dovuto usare una VPN per simulare di essere negli Stati Uniti. E il mio account Meta di test, associato alla Svizzera, mi dice che le funzioni dell’app Meta AI non sono ancora disponibili nella mia area geografica.

In altre parole, se abitate in Europa questo problema probabilmente non vi riguarda, almeno per ora. Ma le cose possono cambiare, e se vivete fuori dall’Europa o avete amici, colleghi o parenti che non risiedono in questo continente è consigliabile avvisarli di questa potenziale fuga di dati personali estremamente sensibili.

In secondo luogo, per rendere pubblica una domanda rivolta a Meta AI è necessario cliccare su un pulsante di condivisione e poi su un ulteriore pulsante di pubblicazione, ed è indicato piuttosto chiaramente quello che succederà, con un avviso dettagliato che dice specificamente che se si condivide il prompt, ossia la domanda, le altre persone potranno vedere per intero la conversazione fatta con Meta AI e raccomanda di “evitare di condividere informazioni personali o sensibili”.

Ma se ci sono tutte queste avvertenze, come è possibile che gli utenti di Meta AI finiscano lo stesso per pubblicare le proprie domande imbarazzanti e le proprie informazioni personali? È vero che le persone usano queste app in maniera molto distratta e superficiale, e spesso non hanno ben chiaro cosa significhi esattamente “condividere” o “prompt” nel mondo dei social, ma dare la colpa esclusivamente agli utenti disattenti e impreparati sarebbe scorretto.

La già citata esperta Rachel Tobac spiega infatti che gli utenti comuni si sono fatti ormai uno schema mentale di come funzionano i chatbot basati sull’intelligenza artificiale e non si aspettano nemmeno lontanamente che le loro richieste possano essere pubblicate, perché le altre app dello stesso genere non lo fanno. Si aspettano che le loro domande siano sempre e comunque private; magari condivise con il fornitore del servizio, ma non con il mondo intero. Non si aspettano che esista addirittura una pagina pubblica del sito di Meta dove le loro domande possono essere pubblicate per errore.

Non solo: se si chiede a Meta AI se le domande che gli si rivolgono sono pubbliche o no, l’intelligenza artificiale mente senza esitazione, dicendo con tono risoluto che no, le conversazioni sono private e nessun altro le può vedere [Rachel Tobac]. Per cui è comprensibile che gli utenti siano confusi e disorientati.

I responsabili di Meta hanno insomma commesso un errore grave e fondamentale nella progettazione della propria interfaccia con gli utenti. Sanno benissimo che fra i loro quattro miliardi di utenti stimati nel mondo ci sono tante persone che hanno un rapporto molto superficiale con l’informatica, eppure non ne hanno tenuto conto e hanno pensato che fosse una buona idea offrire l’opzione di pubblicare le proprie domande, senza considerare le possibili conseguenze. E soprattutto hanno pensato che fosse sensato permettere a chiunque di leggere le conversazioni condivise inavvertitamente dagli altri, creando un disastro di privacy ampiamente prevedibile.

Come nota TechCrunch, infatti, ci sono dei precedenti molto educativi: questo sito dedicato alle tecnologie dice che “c’è un motivo per cui Google non ha mai tentato di trasformare il proprio motore di ricerca in un flusso social, o per cui la pubblicazione delle ricerche degli utenti di America Online in forma pseudo-anonimizzata nel 2006 è finita così male” [New York Times, 2006]. E come nota invece Gizmodo, Facebook anni fa rilasciò una versione nella quale la casella di ricerca somigliava alla casella di scrittura dei post, per cui gli utenti finivano per postare pubblicamente le loro ricerche, e nel 2023 l’app di pagamento Venmo aveva avuto l’idea geniale di rendere pubblicamente cercabili i dettagli delle transazioni degli utenti, con conseguenze ovvie e disastrose [Daily Dot].

C’è anche un secondo errore commesso dai progettisti di Meta, ed è la scelta di impostare questo servizio di dubbia utilità in modo che spetti all’utente agire per tutelare la propria privacy, invece di progettarlo in modo tale che l’utente debba fare qualcosa di concreto per perderla. È il concetto di privacy by default: la riservatezza deve essere l’impostazione predefinita.

Vediamo allora a questo punto cosa si può fare per rimediare a queste scelte di Meta.


Se avete installato l’app Meta AI e vi funziona pienamente, potete ridurre il rischio di postare inconsapevolmente le vostre domande personali andando nell’app e toccando l’icona del vostro profilo in alto a destra.

Fatto questo, scegliete le impostazioni dell’app e la sezione dedicata a dati e privacy, andate nella sottosezione dedicata alla gestione delle informazioni personali e toccate l’opzione che parla di rendere visibili solo a voi tutti i vostri prompt e di condividere quei prompt con altre app, disattivando tutto. Già che ci siete, vi conviene anche toccare e attivare l’opzione che permette di cancellare tutti i prompt precedenti, per fare tabula rasa [Gizmodo]. Se vi siete persi qualche passaggio, non vi preoccupate: le istruzioni dettagliate sono disponibili presso Attivissimo.me.

Questa vicenda, al di là dei suoi risvolti umani a metà fra il voyeuristico e il deprimente, dimostra ancora una volta che nonostante gli infiniti proclami di avere a cuore la nostra privacy, in realtà ai gestori dei social network la protezione dei dati degli utenti non interessa affatto. Tengono invece al profitto, e devono in qualche modo giustificare le cifre spropositate che stanno spendendo per stare al passo con questa febbre dell’intelligenza artificiale, per cui non ci chiedono se per caso vogliamo la IA in tutte le nostre app, ma ce la impongono a forza.

Se avessero davvero a cuore la nostra riservatezza, imposterebbero i loro servizi in modo che debba essere l’utente ad abbassare volontariamente le proprie protezioni. E invece tocca a noi utenti informarci e stare vigili a ogni aggiornamento delle nostre app social per tenere alzate quelle protezioni. È estenuante, e forse l’unico rimedio per non cedere allo sfinimento prima o poi è semplicemente smettere di usare questi prodotti e passare ad alternative progettate meglio e a favore degli utenti e non degli azionisti.

Sì, esistono. Ma questa è un’altra storia per un’altra puntata di questo podcast.

Fonti

Meta AI’s discover feed is full of people’s deepest, darkest personal chatbot conversations, Fastcompany.com, 2025

Mark Zuckerberg has created the saddest place on the internet with Meta AI’s public feed, Business Insider, 2025

Meta AI posts your personal chats to a public feed, Pivot to AI, 2025

Justine Moore su X, 2025

The Meta AI App Lets You ‘Discover’ People’s Bizarrely Personal Chats, Wired, 2025 (copia su Archive.is)

Meta AI searches made public – but do all its users realise?, BBC, 2025

The Meta AI app is a privacy disaster, TechCrunch, 2025

PSA: Get Your Parents Off the Meta AI App Right Now, Gizmodo, 2025

Rachel Tobac su X, 2025

Here’s how to keep Meta AI from sharing your prompts on Facebook, Instagram, CNBC, 2025

Avviare una conversazione con Meta AI, Meta, 2025

Europe, Meet Your Newest Assistant: Meta AI, Meta, 2025

Meta is about to use Europeans’ social posts to train its AI. Here’s how you can prevent it, Euronews, 2025

Meta AI, pratica ma problematica, RSI, 2025

A Face Is Exposed for AOL Searcher No. 4417749, New York Times, 2006