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Podcast RSI – Alexa perde le opzioni di privacy, ma ci sono alternative

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Questo è il testo della puntata del 17 marzo 2025 del podcast Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto. Il testo include anche i link alle fonti di questa puntata.

Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, YouTube Music, Spotify e feed RSS. Il mio archivio delle puntate è presso Attivissimo.me/disi.


[CLIP: Suoni di Alexa, tratti da questo video su YouTube]

Dal 28 marzo prossimo gli assistenti vocali Alexa di Amazon smetteranno di rispettare le scelte di privacy dei loro utenti. Lo ha comunicato Amazon stessa pochi giorni fa, in una mail inviata ad alcuni di questi utenti, ma senza usare parole così chiare. Eppure è questo il senso tecnico della decisione unilaterale di Amazon di cambiare radicalmente il funzionamento dei suoi dispositivi dopo che gli utenti li hanno acquistati, e di cambiarlo a sfavore di quegli utenti.

Tra una decina di giorni, in sostanza, tutto quello che direte in presenza di un Alexa potrà essere registrato e inviato ad Amazon, dove potrà essere ascoltato, trascritto, registrato e dato in pasto all’intelligenza artificiale.* E questo vale anche per le versioni di Alexa che gli utenti hanno acquistato specificamente perché non facevano nulla di tutto questo.

* Per maggiore chiarezza: è così da tempo per la stragrande maggioranza dei dispositivi Alexa. Però finora c‘erano alcuni modelli di Alexa che non funzionavano in questo modo. 

Questa è la storia di come Amazon è riuscita a convincere centinaia di milioni di persone in tutto il mondo a installarsi in casa un oggetto che è a tutti gli effetti un microfono aperto e connesso a Internet e ai suoi server, in ascolto ventiquattro ore su ventiquattro, ed è anche riuscita a convincere queste persone a pagare per avere quel microfono.

Benvenuti alla puntata del 17 marzo 2025 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo.

[SIGLA di apertura]


Siamo nel 2014, a novembre; quasi undici anni fa. Amazon presenta al pubblico Echo, uno strano altoparlante cilindrico, connesso a Internet, che include un assistente vocale simile a Siri di Apple.

Il primo Echo (fonte: Tech.co, 2019).
Spaccato di un Amazon Echo di prima generazione (fonte: Techcrunch).

Come Siri, anche Echo risponde ai comandi vocali quando viene attivato tramite una parola specifica, che per questo prodotto di Amazon è “Alexa”: una parola scelta per il suo suono piuttosto insolito, caratterizzata dalle vocali dolci e dalla X che la fanno spiccare e la rendono più facilmente riconoscibile da parte della limitata potenza di calcolo presente a bordo di Echo. Se in casa c’è qualcuno che si chiama Alexa o Alessia e quindi c’è rischio di confusione, l’utente può scegliere in alternativa le parole Amazon, Echo, Ziggy o Computer [Business Insider; FAQ Amazon].

Al suo debutto, Echo di Amazon costa ben 199 dollari ed è disponibile solo su invito da parte dell’azienda [TechCrunch] e soltanto negli Stati Uniti. Arriva in Europa due anni più tardi, nel 2016, quando viene offerto anche in versione compatta a circa 60 euro [CNBC]. Tramite comandi vocali, permette di fare acquisti su Amazon, comandare vari dispositivi domestici interconnessi, impostare sveglie e timer e rispondere a varie domande attingendo alle informazioni di Wikipedia e di altre fonti.

Il principio di funzionamento di Echo è relativamente semplice. I suoi microfoni estremamente sensibili captano costantemente tutti i suoni e tutte le conversazioni che si svolgono nell‘ambiente nel quale Echo è collocato. I suoi processori analizzano altrettanto costantemente quello che è stato capitato dai microfoni. Se secondo questa analisi è stata pronunciata la parola di attivazione (o wake word in gergo tecnico), allora i suoni raccolti vengono trasmessi via Internet ai computer di Amazon, dove vengono elaborati, trascritti e trasformati in comandi. Questi comandi vengono eseguiti, sempre sui computer di Amazon e anche su quelli delle aziende associate ad Amazon, e i loro risultati vengono inviati al dispositivo dell’utente.

L’intero procedimento è talmente veloce e invisibile che chi usa Alexa ha l’impressione che sia il dispositivo a fare tutto questo lavoro. Non ha nessuna percezione del fatto che le sue parole vengano registrate e trasmesse ad Amazon, che le conserva. Lo scopre soltanto se gli capita di accedere al suo account Amazon e di consultare una sezione dedicata appunto ad Echo e Alexa, che contiene la Cronologia voce, ossia tutto quello che è stato registrato dal suo dispositivo.

[Questo è il link alla Cronologia voce di un account (accessibile solo dando login e password): https://www.amazon.it/alexa-privacy/apd/rvh?ref_=privacy0]

Screenshot della Cronologia voce (dal mio account Amazon).

[CLIP: spezzoni delle mie registrazioni di Alexa]

Questi sono alcuni campioni di quello che ha registrato il mio Alexa, nei rari momenti in cui l’ho tenuto acceso per fare qualche esperimento. Alcuni risalgono a più di cinque anni fa, ed è chiaro da quello che è stato registrato che Alexa registra e archivia non solo i comandi impartiti ma anche spezzoni di conversazioni nei quali viene citato il suo nome o qualcosa che gli assomiglia. Cosa ancora più interessante, registra e archivia anche alcuni secondi di quello che è stato detto prima di dire la parola di attivazione.

Un esempio di audio ambientale raccolto da Alexa e inviato ad Amazon nonostante non fosse un comando rivolto ad Alexa (dalla mia Cronologia voce).

[CLIP: una nostra amica che dice “è un po’ lenta Alexa” e Paolo che dice “OK Google parla con Alexa”. Notate che in entrambi i casi “Alexa” è l’ultima parola registrata e sono state registrate anche quelle dette appena prima]

Questo dimostra che Alexa è costantemente in ascolto e altrettanto costantemente in registrazione. Quando “crede” di aver sentito la parola di attivazione, prende l’audio che ha registrato e lo invia ad Amazon. E questo vuol dire che qualunque conversazione domestica è a rischio di essere registrata e inviata. Una confidenza, un momento di intimità con un partner, una telefonata al proprio medico per discutere la propria situazione di salute, una riunione confidenziale di lavoro, una discussione politica o religiosa. Tutto può finire negli archivi di Amazon.


È chiaro che questo modo di funzionare di Alexa è un grave rischio per la privacy, e non si tratta di ipotesi paranoiche: nel 2023 Amazon ha accettato di pagare un’ammenda di 25 milioni di dollari perché era stata colta a conservare per sempre le registrazioni delle interazioni dei bambini con Alexa, violando le leggi statunitensi sulla privacy [New York Times].

Amazon ha dichiarato che conserva tutte le registrazioni indefinitamente, se l’utente non provvede a cancellarle a mano [CNET; ZDNET] o a impostare la cancellazione automatica dopo tre o diciotto mesi. Ha aggiunto anche che un campione “estremamente piccolo” delle registrazioni acquisite viene ascoltato dai suoi dipendenti. Nel caso di Amazon, “estremamente piccolo” significava, nel 2019, che ciascuno dei suoi addetti specializzati a Boston, in Costa Rica, in India e in Romania ascoltava fino a mille spezzoni di audio domestico ogni giorno, e fra l’altro questi spezzoni venivano condivisi fra gli addetti non solo per ragioni tecniche ma anche semplicemente perché erano divertenti [Bloomberg (copia su Archive.is); Ars Technica].

Il fatto che le conversazioni degli utenti di Alexa possano essere ascoltate da queste persone non viene mai indicato nelle sue rassicuranti informazioni di marketing [copia su Archive.is; altre info qui] e neppure nelle sue informative sulla privacy. E così l’impressione che ha l’utente medio è che quello che dice ad Alexa nell’intimità della propria casa sia ascoltato soltanto da freddi e indifferenti sistemi automatici, ma non è affatto così.

Screenshot parziale delle informazioni di Amazon sul funzionamento di Alexa.

A volte va anche peggio: queste registrazioni possono finire in mano a sconosciuti. Nel 2018 un utente Alexa in Germania ha provato a esaminare la propria cronologia delle conversazioni e vi ha trovato circa 1700 registrazioni di qualcun altro: un uomo che in casa propria parlava con la compagna. Quando ha segnalato la serissima violazione della privacy, inizialmente Amazon non gli ha neppure risposto e ha avvisato la vittima solo quando la notizia è uscita sulla stampa specializzata. L’azienda ha dichiarato che si è trattato di “un errore umano e un caso singolo isolato” [Washington Post; Reuters].

Insomma, il problema di fondo è che i microfoni di questi dispositivi di Amazon, come del resto quelli equivalenti di Google e di Apple, prendono i suoni ascoltati in casa e li consegnano alle rispettive aziende per l’analisi e l’elaborazione. Se questa analisi ed elaborazione avvenissero localmente, a bordo del dispositivo, in modo da non trasmettere esternamente i suoni ambientali, il funzionamento di questi oggetti sarebbe molto più rispettoso della naturale riservatezza che ci si aspetta di avere in casa propria.

Infatti nel 2020 Amazon ha presentato i dispositivi Echo Dot di quarta generazione, che insieme agli Echo Show versione 10 e 15, dotati di schermo e telecamera, erano in grado di elaborare localmente i suoni che captavano. Una rivoluzione nel modo di funzionare di questi dispositivi che li rendeva decisamente appetibili per chiunque avesse riflettuto seriamente sulla questione. Finalmente un prodotto fatto come si deve in termini di privacy.*

* Questa funzione era disponibile esclusivamente agli utenti statunitensi con Alexa impostato sulla lingua inglese [The Technology Express]

Ma chi ha comprato questi dispositivi ora si trova con una sorpresa molto amara: il 28 marzo prossimo Amazon disabiliterà l’elaborazione locale dell’audio su tutti questi apparati, che cominceranno a funzionare esattamente come tutti gli altri di Amazon, mandando quindi ai server dell’azienda (e alle orecchie dei suoi dipendenti addetti al servizio Alexa) tutto quello che viene ascoltato dai loro sensibilissimi microfoni e interpretato come comando da mandare.

L’utente che ha pagato per avere questi prodotti si troverà quindi con un dispositivo degradato che non farà più la cosa fondamentale per la quale era stato acquistato, ossia rispettare la riservatezza dell’utente. E non ci sarà nulla che potrà fare per opporsi.*

* Negli Stati Uniti la legge DMCA (1998) rende punibile con cinque anni di carcere e una sanzione da 500.000 dollari l’alterazione del software (e in questo caso del firmware) di un dispositivo protetto dal copyright, anche se viene fatta dal proprietario del dispositivo stesso.

Quello di Amazon è un comportamento che viene spesso chiamato cinicamente “l’MBA di Darth Vader”, con riferimento al celeberrimo personaggio malvagio di Star Wars, il cui potere è così assoluto che se tenesse un corso di formazione per l’amministrazione aziendale insegnerebbe ai suoi studenti che il rispetto dei contratti e delle regole concordate è roba per gli inferiori, alle cui fastidiose obiezioni si risponde sempre in questo modo:

[CLIP: Darth Vader che dice “Ho cambiato il nostro accordo. Prega che non lo cambi ancora” (da L’Impero Colpisce Ancora, 1:34:10)]


Amazon giustifica questa menomazione intenzionale dei dispositivi comprati dai suoi clienti con la scusa onnipresente del mondo informatico: l’intelligenza artificiale. Sta infatti per arrivare Alexa+, che è in grado di offrire servizi più complessi e sofisticati grazie appunto all’intelligenza artificiale [Ars Technica]. Intelligenza che però sta nei computer di Amazon, non fisicamente dentro i dispositivi degli utenti, per cui non c’è scelta: l’audio captato deve essere per forza trasmesso ad Amazon ed elaborato sui computer dell’azienda. Alexa+, fra l’altro, avrà probabilmente un canone mensile, a differenza dell’Alexa attuale.*

* La maggior parte delle fonti prevede che questo canone sarà di 20 dollari al mese per gli utenti generici ma gratuito per gli utenti iscritti ad Amazon Prime [Aboutamazon.com].

Questa transizione all’intelligenza artificiale remota significa che gli attuali dispositivi Echo Show perderanno una delle loro funzioni più potenti: la capacità di identificare le voci delle varie persone che li usano e di offrire agende, musica e promemoria personalizzati ai vari membri di una famiglia elaborando l’audio localmente per riconoscere le varie voci, grazie a una funzione chiamata Voice ID. Amazon ha avvisato i proprietari di questi dispositivi che questa funzione non ci sarà più. Adesso la stessa cosa verrà fatta con l’intelligenza artificiale, ma mandando l’audio di casa ad Amazon.

Certo, l’azienda sottolinea nel suo avviso che l’audio è cifrato in transito e che gli utenti potranno chiedere che venga cancellato dopo l’uso, e aggiunge che ci sono “strati di protezioni di sicurezza per tenere al sicuro le informazioni dei clienti”. Ma visti i precedenti di Amazon, e visto che in generale l’intelligenza artificiale ha la discutibile abitudine di rigurgitare in modo inatteso i dati personali che ha ingerito, una certa diffidenza è comprensibile e inevitabile.*

* Anche perché fino al 2022 Amazon era lanciatissima verso l‘elaborazione on-device, che era presentata come una tecnologia con “tanti benefici: riduzione della latenza, ossia del tempo che Alexa impiega a rispondere alle richieste; riduzione del consumo di banda, importante sui dispositivi portatili; e maggiore disponibilità per le unità a bordo di auto e per altre applicazioni nelle quali la connettività verso Internet è intermittente. L’elaborazione on-device consente anche di fondere il segnale vocale con altre modalità, come la visione, per funzioni come il parlare a turno naturale di Alexa” [Amazon Science, gennaio 2022]. Se questi non sono più “benefici” e Amazon vuole accollarsi l’onere computazionale di elaborare in-cloud tutte le richieste, ci sarà probabilmente un tornaconto sotto forma di utilizzo dei dati vocali per addestramento di IA o ulteriore analisi.

Per chi preferisce non avere in casa, in ufficio o nello studio medico microfoni aperti e connessi a Internet, le soluzioni alternative ad Amazon non mancano. Una delle più interessanti è Home Assistant, un ecosistema di dispositivi e di software che fa quasi tutto quello che fa Alexa di base, compreso il collegamento con i sistemi domotici di ogni marca che rispetti gli standard tecnici, lo fa senza canone mensile ed è configurabile in modo che elabori tutto l’audio localmente, senza mandare nulla via Internet a nessuno, tenendo privacy e sostenibilità come valori centrali.*

* Due altre opzioni sulla stessa falsariga sono Mycroft AI (ora OpenVoiceOS) e Snips AI (acquisita da Sonos).

Inoltre Home Assistant è basato sul principio dell’open source, per cui tutti i componenti e tutto il software sono liberamente esaminabili e modificabili e tutti gli standard utilizzati sono liberi e documentati. Non c’è nessun Darth Vader o Jeff Bezos che possa cambiare gli accordi e far pregare che non li cambi ancora, ma c’è una fondazione, la Open Home Foundation, che coordina lo sviluppo di Home Assistant e ha fra l’altro sede in Svizzera [altre info], c’è una base legale solida e collaudata che tutela il tutto e c’è una vasta comunità di utenti che sviluppa il prodotto e insegna a usarlo, per esempio pubblicando dettagliati tutorial su YouTube.

Screenshot della pagina iniziale della Open Home Foundation.

Insomma, se vi è sempre sembrato assurdo che con la domotica per accendere le luci in soggiorno il comando dovesse fare il giro del mondo e dipendere da una rete di computer gestita da chissà chi, le soluzioni ci sono. Si tratta solo di scegliere fra ricevere la pappa pronta da chi può ritirare il suo costoso cucchiaio in ogni momento e rimboccarsi le maniche per studiare come cucinarsi le cose da soli. Di solito si fatica di più, ma si risparmia, e le cose fatte in questo modo hanno più gusto.

Fonti aggiuntive

Amazon annihilates Alexa privacy settings, turns on continuous, nonconsensual audio uploading, Cory Doctorow, 2025

Amazon’s subscription-based Alexa+ looks highly capable—and questionable, Ars Technica, 2025

Amazon Ends Local Voice Processing for Echo Devices, The Technology Express, 2025

Everything you say to your Echo will be sent to Amazon starting on March 28, Ars Technica, 2025

Amazon is getting rid of the option for Echo devices to process Alexa voice requests locally, Engadget, 2025

Amazon admits that employees review “small sample” of Alexa audio, Ars Technica, 2019

Amazon’s Echo will send all voice recordings to the cloud, starting March 28, TechCrunch, 2025

Amazon is ending the option to not send Echo voice recordings to the cloud, The Verge, 2025

Amazon plans to give Alexa an AI overhaul — and a monthly subscription price, CNBC, 2024

The Gdańsk man who brought US giant Amazon to Poland, The First News, 2020